L’adolescenza di Maya, quello che gli adulti non sanno

Tra fughe dalla casa famiglia, ricchi rampolli della Roma bene, punk e artisti di strada, la vita inquieta di una sedicenne e della sua sorellina, nell’esordio di Tommaso Agnese. Film d’apertura del Riff che quest’anno punta su cinema e letteratura…

MAYA BLU

I bambini ci guardano. O meglio non hanno mai smesso di farlo. Piuttosto sono gli adulti ad essere distratti nei loro confronti. Eppure a più riprese il cinema torna ad occorgersi di quell’universo variabile che è il mondo dei più piccoli, degli adolescenti e dei ragazzi, sempre più sfuggente ad ogni analisi sociologica o di costume. Casualità o tendenza, insomma, le nostre sale si stanno popolando di storie che puntano l’obiettivo sulla fascia dei più giovani. Dei bimbi di Veltroni (I bambini sanno) tutti sanno: da anni non si vedeva una campagna mediatica così massiccia da coinvolgere anche il Quirinale, con anteprima presenziata dal Presidente della Repubblica Mattarella, più l’ex Napolitano, l’intero governo e l’intero mondo dello spettacolo. Più discreto, anche mediaticamente, ma decisamente più apprezzato dalla critica, è invece Short Skin, delicato esordio di Duccio Chiarini che punta all’universo adolescenziale, raccontandone gli aspetti più intimi, legati alla sessualità, alle paure, alle incertezze tipiche di quella fase controversa della vita. Di insicurezze, fino al punto di rendersi invisibile, infatti, ci dice La dolce arte di esistere, opera seconda di Pietro Reggiani, che tenta le corde del paradosso per fotografare l’incerto mondo giovanile. Ultima tessera di questo pazzle cinematografico è Mi chiamo Maya di Tommaso Agnese, anche questo un esordio, anche questo un tentativo di indagare il complesso e inafferrabile mondo dell’adolescenza. Ma stavolta dal particolare punto di vista dei ragazzi affidati alle case famiglia. Una realtà poco frequentata dal cinema, ma dai grandi numeri che Agnese ci racconta attraverso la storia di due sorelle: una sedicenne e una bimba di otto anni appena (le brave Matilda Lutz e Melissa Monti), figlie di padri diversi che, alla scomparsa della madre, si trovano a fare i conti con i servizi sociali, pronti a dividerle per sempre. Uno strappo troppo duro per loro, di fronte al quale reagiscono con la fuga, nonostante l’impegno e l’umanità di un’ assistente sociale col volto (statico) di Valeria Solarino. Una fuga di pochi giorni, che per le due ragazzine assume i tratti di una sorta di viaggio iniziatico in una Roma popolata da varia umanità. Spogliarelliste con figli a carico, punk, artisti di strada e ricchi e annoiati rampolli della borghesia capitolina, capaci di vandalizzare interi appartamenti in cerca del divertimento. Seppure con passo incerto ed estetica televisiva, Tommaso Agnese ci accompagna in un mondo dove ragazzi, giovani e meno giovani sono tutti accomunati dalla solitudine e dall’assenza colpevole degli adulti. Di fronte alla quale reagiscono come possono.  Prodotto da Magdafilm di Silvia Innocenzi e Giovanni Saulini con Raicinema, Mi chiamo Maya, in sala dal 7 maggio, aprirà il 4 maggio la XIV edizione del Riff, il festival internazionale del cinema indipendente di Roma, diretto da Fabrizio Ferrari. Titoli da tutto il mondo, tra fiction e documentario, rigorosamente indi. E poi l’11, un focus dedicato al rapporto tra cinema e letteratura (ore 11 Casa Argentina) con lo scrittore Fabio Bartolomei, autore del romanzo Giulia 1300 e altri miracoli (edizioni e/o) che ha ispirato il fortunato film di Edoardo Leo, Noi e la Giulia. Nel corso dell’incontro presenteremo anche l’esperienza di Bookciak, del nostro premio e del nostro magazine.