Tra le onde dell’oceano la memoria dei desaparecidos

In sala dal 28 aprile, il nuovo magnifico film del cileno Patricio Guzman, Orso d’argento alla Berlinale 2015. È “La memoria dell’acqua”, nuovo tassello del suo mosaico contro l’oblio, tra realtà e metafisica, poesia e indignazione. Sulle rive della Patagonia Occidentale, tra la civiltà del popolo Selknams, sterminato dai coloni due secoli fa. E lo sterminio compiuto dalla dittatura di Pinochet. Da non perdere…

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Patricio Guzman al Cile, alla sua storia e al golpe che ha interrotto la sua storia, ha dedicato tutta la sua opera. Documentari che hanno fatto il giro del mondo, hanno vinto premi in ogni festival e l’hanno consacrato tra i più grandi registi del cinema del reale, mentre in Cile, nessun canale televisivo li manda in onda.

Patricio Guzman, che ormai vive in Francia, però, non si arrende. A 75 anni continua, ostinatamente, nel racconto e nella denuncia degli orrori della dittatura di Pinochet e di quel “patto del silenzio” che ha impedito fin qui di fare i conti col passato, garantendo l’impunità ai vertici del regime e alla popolazione connivente.

La memoria dell’acqua, infatti, in sala dal 28 aprile (per I Wonder Pictures, Unipol Biografilm Collection e Fil rouge media) è una nuova tessera del puzzle che l’autore cileno continua a costruire contro l’oblio.

Se nel precedente, Nostalgia della luce – magnifico anche quello -,  era il deserto cileno ad evocare la memoria dei desaparecidos, qui è l’oceano. Quegli interminabili chilometri di costa sul Pacifico, che a Sud, nella Patagonia occidentale, si arrichiscono di isole, isolotti, fiordi, costituendo il più grande arcipelago del mondo.

È qui, in questo regno dell’acqua che hanno vissuto per secoli e secoli i Selknams, popolazione indigena sterminata dai coloni e dalla Chiesa. Ed è qui, in fondo all’oceano, che la dittatura di Pinochet ha “fatto sparire” coi voli delle morte le centinaia e centinaia di oppositori al regime.

Un bottone di madreperla, offerto in “dono” ad un indio, due secoli fa, segnò l’inizio della fine di quella straordinaria civiltà, capace di vivere a temperature polari, in perfetta sintonia con la natura e le stelle. E a cui Allende tentò di ridare dignità e futuro nel suo fugace sogno di libertà, spazzato via dal golpe militare.

Un bottone ritrovato su una rotaia arruginita, oggi, è la traccia di un altro sterminio più recente. Quello dei desaparecidos di villa Grimaldi, a Santiago, i cui corpi venivano legati a pesanti rotaie, poi imbustati, e lanciati dagli elicotteri nelle profondità dell’oceano.

La memoria dell’acqua porta con sè tutto questo. Storie di impunità reiterate nei secoli che Guzman ci racconta con la potenza del grande narratore qual è. Affiancando la realtà alla metafisica, la poesia all’indignazione. “Come si dice Dio nella vostra lingua?”, chiede il regista alla vecchia india, ultima tra i venti sopravvissuti della popolazione Selknams. “Non esiste – risponde la donna – come non esiste la parola polizia”.

L’acqua, infine ci suggerisce il regista cileno, mutuando il pensiero dell’antrosopofo tedesco Theodor Schwenk, non è appannagio esclusivo dei terrestri, ma è presente in tutto il cosmo sotto forma di vapore e ghiaccio. Nell’acqua c’è la storia dell’universo. L’11 settembre del ’73, giorno del golpe filoamericano contro Allende, gli scienziati cileni osservarono nel firmamento l’esplosione di una supernova. Nell’acqua c’è la storia dell’universo. La memoria dell’acqua è la nostra. Agli artisti il dono di saperla raccontare. Come fa Patricio Guzman in questo magnifico film, assolutamente da non perdere.