Lezioni di piano e crudeltà. Storia di Resi Paradis, musicista cieca (per forza)
Passato alla Festa di Roma, dopo Toronto, “Mademoiselle Paradis” il film della regista austriaca Barbara Albert, dal romanzo storico di Alissa Walser. La storia vera – e toccante – di Maria Theresia Paradis, giovane musicista cieca “imprigionata” negli egoismi di una famiglia aristocratica e insensibile. Un film sulla volontà di vedere e non vedere, che dice della potenza dello sguardo femminile…
Vienna 1777. Maria Theresia Paradis ha diciotto anni e un incredibile talento naturale per il piano. È rimasta cieca, improvvisamente, da bimbetta ed ora i suoi genitori nobili di lignaggio, ma davvero poco nobili d’animo, la fanno esibire per l’aristocrazia della corte imperiale, come una scimmietta ammaestrata.
Di cure, meglio torture, ne ha subite un mucchio la giovane Resi per recuperare la vista, ma senza risultati. Finché a scombinare le carte – soprattutto quelle dei genitori – arriva il dottor Franz Anton Mesmer, anche lui un talento naturale, ma per le guarigioni che procura ai suoi pazienti attraverso la pranoterapia, metodo sicuramente disapprovato in pieno Secolo dei Lumi.
Barbara Albert, regista austriaca di talento anche lei (Falling, Die Lebenden), sceglie stavolta di attingere ad una pagina di storia e a personaggi realmente esistiti, per un nuovo ritratto al femminile, ispirato a sua volta dal romanzo della scrittrice tedesca, Alissa Walser, tradotto in Italia da Neri Pozza, La musica della notte.
Un bel ritratto, decisamente, che la Albert tratteggia a partire da un raffinato gioco di luci e molte ombre, a rimandare una cecità che non riguarda soltanto la giovane protagonista (un’ intensa Maria-Victoria Dragus) ma l’intero contesto che la circonda, quell’aristocrazia annoiata e pettegola, abituata a vivere nel buio più assoluto della superficialità, dell’apparenza, dell’ipocrisia. Facile da traslare anche al nostro contemporaneo. In cui, ieri non così tanto diversamente dall’oggi, le donne devono piegarsi alle volontà imposte dalla famiglia e dalle convenienze sociali, sacrificando identità e libertà.
Quando attraverso le cure del dottor Mesmer, la giovane Resi recupererà miracolosamente la vista e la voglia di vivere, perdendo però il suo talento musicale che, tra l’altro le aveva fruttato le attenzioni dell’Imperatrice, i suoi genitori non esiteranno un solo attimo a strapparla alla guarigione. Una donna senza un talento non serve a nulla, le spiega il padre, sottolineando più o meno che nel suo caso manca anche la bellezza. Per Resi tornerà così il buio assoluto e la musica secondo le volontà di famiglia.
Mentre Barbara Albert ci lascia col gusto della sua ostinata voglia di vedere, evidenziando nel racconto anche la ferocia del divario sociale e delle disuguaglianze di classe. Condizioni in cui a pagare per prime sono sempre le donne, soprattutto se povere. Come la “servetta” di Resi, vittima delle molestie dei ricchi pazienti che, una volta rimasta incinta, viene cacciata via. O la madre del ragazzino “storpio” che ucciso dagli zoccoli di un cavallo deve sentirsi “sollevata”, a detta della padrona, perché quel suo bimbo non avrebbe avuto certo futuro.
Mademoiselle Paradis, insomma, è un film di sguardi. Anche molto crudeli. Che dice della volontà di vedere e non vedere. E, nel caso di Barbara Albert, della potenza dello sguardo femminile.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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