Metti la vedova nel covo dei trafficanti. La nuova commedia francese (cine-letteraria) che spacca
In sala dal 14 ottobre (per I Wonder Pictures) “La padrina – Parigi ha una nuova regina” di Jean-Paul Salomé dal fortunato romanzo di Hannelore Cayre (pubblicato in Italia da Edizioni leAssassine). Una insuperabile Isabelle Huppert nei panni di una traduttrice-trafficante per una commedia/thriller che è un gioiellino di politicamente scorretto …
Ha davvero la trama, i toni e la tipologia della commedia/thriller La padrina – Parigi ha una nuova regina, firmato Jean-Paul Salomé e sul grande schermo in Italia a partire dal 14 ottobre. La daronne – titolo originale -, distribuito da I Wonder Pictures e prodotto da Les films du lendemain, ha vinto quest’anno il Premio Jacques-Deray come miglior film poliziesco francese.
Salomé, autore fra gli altri di Belfagor, il fantasma del Louvre (2001) e di Arsène Lupin (2004), ha adattato il pluripremiato romanzo di Hannelore Cayre apparso nel 2017 e pubblicato ora in Italia con il titolo La bugiarda (192 pp., 18 euro), nell’impeccabile traduzione di Tiziana Prina dalla coraggiosa e intraprendente casa editrice milanese leAssassine, specializzata in letteratura gialla di tutti i generi scritta da donne e ambientata nei contesti geografici più diversi.
“Un gioiellino di copione politicamente scorretto” lo hanno definito i critici d’Oltralpe. È il ritratto disincantato di Patience Hortefeux (interpretata da un’insuperabile Isabelle Huppert), cresciuta nel lusso ma ormai cinquantenne vedova di un trafficante, padre maghrebino tirannico mafioso e madre ebrea ex deportata ossessionata dal proprio passato e ricoverata in una costosa casa di riposo, due figlie ‘a modo’, impiegate senza grilli per la testa alle quali non ha nulla da dire.
La perfetta padronanza della lingua araba le permette di guadagnarsi da vivere traducendo e trascrivendo deposizioni, interrogatori o ancora ore e ore di intercettazioni telefoniche, il tutto al nero e senza garanzia alcuna: “ed è purtroppo la realtà dei nostri tribunali!” tiene a sottolineare l’autrice del libro, avvocato penalista che ha al suo attivo quattro romanzi e diversi cortometraggi.
Nel corso di un’inchiesta su un traffico di stupefacenti, fra una visita e l’altra a sua madre in fin di vita, Patience viene a scoprire che una famiglia di marocchini ha dovuto sbarazzarsi di un carico di droga all’imbocco dell’autostrada, e che l’autista non è altri che il figlio della brava ausiliaria che assiste sua madre.
Una vera e propria manna per la protagonista, frustrata da un lavoro duro e malpagato: ed eccola intrufolarsi nella rete dei trafficanti e diventare, per i malfattori ormai suoi compagni e per i poliziotti che li spiano, “la daronne” – la “madre” in dialetto – una sorta di macchina instancabile che rivende e ricicla senza lasciare traccia alcuna. Da “insospettabile”, fa uso delle intercettazioni per salvare il ragazzo e soprattutto i propri conti perennemente in rosso.
Il cinismo del personaggio, il suo sguardo spietato sui trafficanti, “assai stupidi” a suo avviso, la relazione tiepida portata avanti senza prospettive con il capo del dipartimento antidroga Philippe (Hippolyte Girardot), fidanzato ideale – ma “quanto ideale?” – danno spessore a questa storia in cui la suspence rimane secondaria, pur non impedendo un colpo di scena finale.
Patience non si riconosce nel mondo di Philippe, che nel film è un protagonista, mentre nel volume compare soltanto attraverso i pensieri di lei. In ambedue le versioni Philippe si presenta come un brav’uomo, ligio al dovere e innamorato, con un unico difetto, inaccettabile: crede in Dio, e questo per Patience equivale a un lampante disturbo mentale.
Pur mantenendone l’ironia e la comicità, nel film Jean-Paul Salomé ha reso meno drammatica la storia narrata da Hannelore Cayne; ne ha stemperato l’amarezza, e ne emerge una Padrina per quanto possibile più sobria e misurata, pur se incredibilmente cinica. Le vittime vengono uccise in un contesto grottesco, e i drammi personali risultano già tutti elaborati: la vicenda della dark lady Patience sembra la conclusione di un processo avviato da tempo.
Agli anni precedenti la ‘conversione’ il libro, invece, dedica molto spazio: “I miei genitori erano evasori che amavano visceralmente il denaro (…) Lo consideravano come un essere vivente e intelligente, dotato della facoltà di riprodursi” annunciano le prime righe. Ma la maniacale dipendenza dal denaro, narrata con sarcasmo, viene in qualche modo giustificata da Patience: “Avevano perso tutto, incluso il loro paese natale: non restava più niente della Tunisia francese di mio padre, niente della Vienna ebrea di mia madre. Così hanno unito le loro solitudini” e si sono dedicati a far soldi. “E io dovrei provare sensi di colpa? Che barzelletta!”
Patience diventa la Padrina anche per liberarsi delle falsità e del perbenismo: nelle scene iniziali del film, dinanzi alle botte della polizia ai giovani arrestati, lei cerca di non guardare, ma dai suoi occhi traspare l’orrore. “I ragazzi maghrebini scontano anni di prigione per aver venduto hashish ai figli degli sbirri che li inseguono, a quelli dei magistrati che li giudicano nonché a tutti gli avvocati che li difendono” rimarca ancora l’autrice.
Patience-Isabelle avverte l’esigenza di rivivere le esperienze dei genitori in maniera consapevole: se da bambina trasportava il denaro in Svizzera, complice involontaria dei loro loschi traffici, non a caso si trova costretta a lavorare come testimone di giri illeciti. Ma solo compiendo poi, responsabilmente, le loro medesime scelte, riuscirà a liberarsi del proprio passato per iniziare davvero una nuova vita. Questo intenso e sottile percorso psicologico ci viene proposto da Hannelore Cayre nel libro e da Jean-Paul Salomé nel film, trattato con garbata e divertita leggerezza.
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