Nazisti di ieri, sovranisti di oggi. Malick chiama alla responsabilità individuale e punta alla Palma

Passato in concorso l’atteso, “A Hidden Life” di Terrence Malick dedicato a Franz Jägerstätter, contadino austriaco obiettore di coscienza, decapitato nel ’43 per aver rifiutato di giurare fedeltà al Fuehrer. Il tema della responsabilità individuale e l’inquietante attualità del repertorio con le folle che inneggiano a Hitler, potrebbero giocare non poco per ritagliare al film un posto nel palmarès. Nonostante l’eccessiva lunghezza (2 ore e 43 minuti) e l’eccessiva enfasi è impossibile non condividere l’epigrafe finale da George Eliot: abbiamo debiti grandi verso quegli “atti non storici” di eroi “che vissero una vita nascosta, e che riposano in tombe che nessuno visita più”…

L’attualità di una destra nostalgica e xenofoba che mette sotto assedio l’Europa intera potrebbe giocare non poco per ritagliare un posto nel palmarès a A Hidden Life di Terrence Malick, autore di culto che da un quindicennio, più o meno, ho inserito nella mia personale “Accademia dei Sopravvalutati”. I critici- finora orientati a tifare per una Palma ad Almodovar (sarebbe la prima della sua carriera)- hanno applaudito Malick con foga.

Palma d’oro nel 2011 con The Tree of Life, da almeno tre film Malick si esibisce in acrobazie estetiche e intimiste decisamente stucchevoli. Con la “vita nascosta” di Franz Jägerstätter, contadino austriaco obiettore di coscienza che fu decapitato nel 1943 per aver rifiutato di giurare fedeltà al Fuehrer, il misterioso settantacinquenne dell’Illinois (è il primo dopo Kubrick ad aver scelto l’invisibilità) affronta invece una storia vera.

Risultano paradossalmente inquietanti e contemporanee le folle che – nei filmati d’epoca – inneggiano a Hitler all’inizio del film. E attuale è l’appello alla responsabilità individuale, per alto che sia il prezzo da pagare. Se solo l’immolazione cristologica di Franz occupasse meno di 2 ore e 43 minuti, si eviterebbe il cedimento soporifero a tratti in agguato.

La bellezza della natura è il demone personale di Malick, che forse più di chiunque sa assaporarla e distillarla in immagini di ostentato, ripetitivo lirismo. Qui serve di contrappunto al crudele calvario di un contadino che non accetta di piegare la testa davanti a un Potere che semina sangue, sterminio e macerie.

Sotto le austere vette tirolesi, la vita dei campi – aratura, mietitura, fare legna e bambini, amare gli animali e il proprio prossimo – è l’immagine stessa della pace. Ma il senso di minaccia incombe su Franz (August Diehl, era anche in Bastardi senza gloria di Tarantino) e sua moglie Fani (Valerie Pachner) fin dal preludio. Gli attori noti compaiono solo in cameo: i compianti Bruno Ganz e Michael Nyqvist, oltre a Matthias Shoenaerts.

Rifiutandosi di aderire al “credo” del nazionalsocialismo (mentre il sindaco tuona contro “gli stranieri che invadono le nostre strade”, ancora attualità!) il contadino si metterà contro il villaggio, i prelati (il Vescovo: “Hai un dovere verso la Patria”) e perfino la madre.

Richiamato alle armi nel 1943, non accetta nessuno dei sotterfugi che gli offrono per sfuggire alla ghigliottina.  “Pensi di poter cambiare con la tua condotta l’esito della guerra? “, gli chiede il giudice Bruno Ganz. Risposta: “C’è differenza tra le sofferenze che puoi evitare e quelle che scegli. Non posso fare quello che considero il Male”. I patimenti di moglie e figlie non sono da meno: prese a sputi e a sassate, disprezzate, isolate come lebbrose. Il 9 agosto del 1943 Franz viene ghigliottinato come “traditore”.

Tra le virtù di Malick non c’è mai stata la sintesi, e l’understatement non è contemplato: A Hidden Life trabocca di enfasi e delle musiche, onnipresenti, firmate da James Newton Howard. Ma è impossibile non condividere l’epigrafe finale che cita George Eliot: abbiamo debiti grandi verso quegli “atti non storici” di eroi “che vissero una vita nascosta, e che riposano in tombe che nessuno visita più”.

Fonte Huffington Post