Nel mondo di mezzo di Walter Siti. Che è già un film nelle sale

“Non sono le borgate che si stanno imborghesendo, ma è la borghesia che si sta imborgatando (…)”. Walter Siti già nel 2008 anticipava nel suo libro (Mondadori), “Il contagio” che avrebbe svelato anni dopo l’inchiesta Mafia Capitale. Quel mondo di mezzo, cerniera fra legalità e illegalità, fra borgata e centro della capitale, in cui si muovono i suoi  spacciatori, marchettari, prostitute, bottegai, protagonisti di questo potente racconto corale che è già un film, per la regia di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini. Passato a Venezia e già in sala dal 28 settembre …

Il contagio di Walter Siti (Mondadori) è un libro un po’ anomalo, difficile da definire: non è un romanzo né un insieme di racconti e neanche un saggio. Inizialmente sembra che la protagonista sia la casa di via Vermeer, tra Due Torri e Tor Bella Monaca c’è un quartiere dove le strade hanno tutte nomi di pittori, tipo via Renoir, piazzale Van Gogh, lì è situato questo piccolo edificio a tre piani nel quale, nel corso del tempo, si alternano i personaggi principali del libro, spacciatori, marchettari, prostitute, bottegai, italiani e no, un compendio degli abitanti delle borgate romane.

Quasi tutti svolgono attività illegali, dallo spaccio alla prostituzione sia maschile che femminile, ma anche quelli che hanno un lavoro “normale” sono comunque nel giro dell’illegalità. Il professore innamorato del marchettaro, il lavoratore che pippa a più non posso, la ragazza bene del centro che si trasferisce a vivere con lo spacciatore.

C’è anche il borgataro che c’è l’ha fatta, ricicla i denari della camorra napoletana nel mercato immobiliare. Anche se ormai ha tutto quello che ha sempre desiderato soldi, contatti politici, casa in Prati, gli rimane una struggente nostalgia dei tempi della borgata.

Sposato con una donna che inizialmente accetta tutto, la sua amicizia/relazione con il culturista marchettaro, la cocaina, le orge, è un esponete di quel mondo di mezzo, cerniera fra legalità e illegalità, fra borgata e centro della capitale. Finiranno col separarsi perché non ha più senso stare insieme pur restando legati da affetto. Anche il camorrista, uno dei casalesi (?), ha con lui un rapporto quasi affettuoso, indulgente, gli perdona errori e sgarri, niente a che fare con la ferocia di Gomorra.

Dopo un po’ la protoganista non è più la casa di via Vermeer, ma la borgata, le storie si intrecciano, i personaggi cambiano, li perdiamo e ritroviamo in continuazione. Non c’è una trama o una sola storia, qualche volta Walter Siti interviene in prima persona, ci sono riferimenti storici accurati sulla nascita e la mutazione delle borgate. Cura particolare è data al linguaggio, spesso i dialoghi sono in forma diretta, che non è il classico dialetto di Roma, ma il romanesco contaminato dall’italiano che parlano i borgatari di oggi.

Non è difficile pensare che da quest’opera sia stato tratto un film: gli spunti per sviluppare racconti sono tantissimi. Ogni personaggio, dalla filippina che mette su una piccola impresa di successo al fornaio enorme orco che terrorizza il caseggiato, alla mignotta brasiliana che tradisce per amore il suo convivente con un compatriota e, poi sicuramente il professore, il culturista, l’imprenditore, insomma tutti sono protagonisti annunciati di questo bel coro di borgata.

Non resta che aspettare il film di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, con Anna Foglietta, Vinicio Marchioni, Vincenzo Salemme e tanti altri che alcuni potranno vedere già al festival di Venezia .