Noi che abbiamo la fortuna di aver avuto nonni comunisti. “Querido Fidel” arriva in sala

In sala dal 18 novembre (perTeleAut produzioni e Altri Sguardi) “Querido Fidel”, ritratto ironico e intelligente di un irriducibile comunista firmato dall’esordiente Viviana Calò. In una Napoli di fine anni 80 s’intrecciano le storie di tre generazioni (padre, figlio e nipote) cresciute nell’amore assoluto (o nella contestazione assoluta) di Fidel Castro. Con il sorriso sempre presente, quasi un resoconto storico e politico della sinistra italiana che riguarda tutti. E in cui, magari, rintracciare anche la propria storia famliare  …

Rossa è ancora la cravatta di mio nonno che per anni ha stretto il pugno in alto, inseguendo l’utopia del suo tempo. Forte sembra essere ancora la voce pesante alla Peppone. Una voce robusta che riempie gli spazi vuoti.

Una voce d’altri tempi come quella raccontata con ironica intelligenza da Viviana Calò nella sua opera prima Querido Fidel di cui è co-produttrice (con Davide Mastropaolo e Dario Formisano) che le è valsa il premio alla regia al Bif&st 2021. Un piccolo film, una commedia artigianale e autarchica coraggiosa nel tentativo di portare alla luce un ricordo forse sbiadito: quello di un nostalgico passato in grado di colmare un vuoto personale e collettivo di una rivoluzione mancata dentro e fuori i quartieri di una Napoli anni 80.

Fa strano vedere sul grande schermo spezzoni della propria vita. Emidio Tagliavini, interpretato da Gianfelice Imparato (miglior attore sempre al Bif&st), il nonno innamorato di Cuba e di Fidel a cui scrive da anni lettere militanti, non è un uomo o un personaggio qualsiasi, è una sensazione, un’intima vicinanza, un senso di ritrovato calore familiare. È la parte che descrive il tutto, è il ricordo ancora vivo di quei nonni, come il mio, che i più fortunati hanno avuto.

Certo il mio, diversamente da quello di Celia, la nipote “indottrinata” di fede cubana del film, non ha avuto il coraggio di scrivere a Fidel, né di contrastare con fermezza il capitalismo vendendo la moto del figlio e sostituendola con una bici. La sua era una rivoluzione più semplice, una rivoluzione della porta accanto.

Cominciata in Svizzera accanto agli operai italiani immigrati e sfruttati e proseguita in Italia con l’iscrizione al PCI. È stato consigliere provinciale nel feudo democristiano di De Mita, in quella zona remota della Campania piegata dal terremoto dell’80 e ancor di più dal ritardo dei soccorsi. Ha vissuto, nonostante il suo tempo, quello che era il sogno socialista: essere padrone delle sue scelte sfuggendo alla miseria.

Ma la rivoluzione era di tutti a casa mia come lo è stata a casa di Emidio. Era di mia nonna che ricuciva i pantaloni e le camice del vicinato mentre mio nonno vagava tra comizi, liste elettorali e discussioni di piazza. Era di mia mamma e dei suoi fratelli che hanno ereditato la forza delle parole d’ordine di una sinistra che per tanti, forse, si è disgregata in quell’alba del 1989.

Eppure una rivoluzione c’è stata comunque. Il vuoto descritto da Viviana Calò nel suo film è stato colmato, adottato e riempito da chi è venuto dopo, dopo i nonni comunisti, dopo l’iperbole romantica del rivoluzionario Emidio e la morte di Elena (Alessandra Borgia): sua moglie e soprattutto fedele “compagna”.

E forse Querido Fidel arriva al cuore proprio per questo. Come sfogliare una sorta di album di famiglia, di una famiglia allargata in cui ritrovare i nonni, ma alla fine anche i nipoti. Quei ragazzi che oggi magari riempiono le piazze per difendere il pianeta dallo sfruttamento selvaggio. Che alla fine, in fondo, è solo il seguito della stessa storia.