Processo alla DC quarant’anni dopo. Bellocchio libera Aldo Moro e fa grande cinema per la tv e va in sala
In sala dal 9 giugno (con Lucky Red) la seconda parte di “Esterno notte”, primo esperimento nella serialità di Marco Bellocchio presentato in anteprima mondiale a Cannes come un film, magnifico, di sei ore. Il regista di “Buongiorno, notte” riprende il racconto del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro ma stavolta raccontando il fuori e processando l’intera DC quarant’anni dopo. In autunno andrà in onda su Rai1 …
Aldo Moro sul letto d’ospedale che ringrazia le Brigate Rosse per avergli salvato la vita, mentre condanna senza appello la Democrazia Cristiana tutta, davanti agli sguardi attoniti di Andreotti, Cossiga e Zaccagnini.
Quasi vent’anni dopo Buongiorno, notte Marco Bellocchio torna a “liberare” per la seconda volta il Presidente della Dc, spiazzando nuovamente lo spettatore e riscrivendo, stavolta a puntate, una delle pagine più buie della prima Repubblica.
È Esterno notte, un film di sei ore da gustare tutte di fila per il pubblico di Cannes, dove ha avuto l’anteprima mondiale in pompa magna. Oppure in due parti al cinema per il pubblico italiano: la prima il 18 maggio con Lucky Red, la seconda il 9 giugno. Mentre in autunno sarà in sei puntate su Rai1, complice la partecipazione di RaiFiction – con The Apartment, Kavac Film e Arte France – in una produzione destinata a stupire per qualità e contenuti che certamente poco hanno a che fare coi Don Matteo o i Doc dell’abituale programmazione.
È un diavolo in corpo quello che spinge Marco Bellocchio, magnifico 82enne, a proseguire il racconto di quegli anni. Mettendo in primo piano Aldo Moro e il suo “martirio” (con tanto di simbolica via crucis e corona di spine) col volto e, soprattutto il corpo di un Fabrizio Gifuni così mimetico, anche troppo, da sovrapporsi perfettamente alle foto d’epoca dello statista rapito e poi ucciso dalle BR.
Erano anni di grandi utopie e conquiste, quelli, non solo di piombo. E il regista di Marx può aspettare, allora giovane rivoluzionario a sua volta, cerca di nuovo il confronto, in una sorta di riconciliazione. “Non voglio perdonare tutti, ma non odio nessuno. Sarà l’età”, dice disteso, pronto a rimandare al mittente le possibili polemiche destinate con ogni probabilità ad arrivare.
E hai voglia a dire che Buongiorno notte, tutto chiuso all’interno del covo brigatista, con tanto di dubbi e lacerazioni e il sogno di liberare Moro della Faranda- Sansa, “era più ideologico”. Questo affresco dell'”esterno” non è meno politico. E non tanto per tutte quelle tessere del puzzle che tenta di rimettere insieme, persino con dovuta ironia, nel segno del grande complotto: servizi segreti deviati, malavita organizzata, veggenti e sedute spiritiche, emissari della Cia e il Vaticano (Toni Servillo nei panni di Paolo VI è tra i personaggi più riusciti).
Ma lo è, politico, soprattutto per quel processo alla Democrazia Cristiana quarant’anni dopo. Processo che Bellochio mette in scena ritrovando il dna della grande stagione del nostro cinema dei Sessanta e Settanta, ancora una volta coi pugni in tasca. E Freud sul comodino.
Con Francesco Cossiga (un davvero sorprendente Fausto Russo Alesi) figlio politico di Moro che uccide – non solo simbolicamente – il padre. Giulio Andreotti (Fabrizio Contri), deus ex machina di ogni segreto italiano – già messo sul banco degli imputati ne Il traditore – qui impassibile esecutore della “linea della fermezza”. E Benigno Zaccagnini (Gigio Alberti) che cerca consolazione al suo sgomento da chi dovrebbe essere consolata: Noretta, la moglie di Moro, una Margherita Buy dai tratti dolenti e dalla dignità esemplare.
Le figure femminili risplendono. Persino Adriana Faranda (Daniela Marra) è tratteggiata con umana compassione a fronte dell’ottusità senza dubbi di un Valerio Morucci (Gabriel Montesi) votato alla morte per la causa, né più né meno di un kamikaze dell’Isis. Sono uomini senza qualità. Con pene domestiche di varia portata (Cossiga in particolare si dispera all’indifferenza della moglie amatissima) e volgarissimi interessi di potere.
E se Berlinguer è ritratto cinico tra i cinici, mentre il Pci che dello storico compromesso storico è stato protagonista è totalmente marginale nel racconto “non è censura” dice Bellocchio. “È un racconto più emotivo che poltico” viene in soccorso Stefano Bises che firma la sceneggiatura a otto mani con lo stesso Bellocchio, Ludovica Rampoldi e Davide Serino. “Così che ci siamo focalizzati sui rapporti tra personaggi dalla temperatura emotiva più elevata”, chiude.
Quanto alle fonti letterarie se in Buongiorno, notte è stato centrale Il libro di Anna Laura Braghetti e Paola Tavella, Il prigioniero, in questo secondo capitolo del caso Maro lo è stato lo stesso memoriale del presidente DC, scritto a mano durante quei drammatici 55 giorni di prigionia. Di cui è arrivata in libreria, due anni fa, una versione curata da Miguel Gotor, il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano (Einaudi). È da qui, aggiunge Bellocchio che è emerso quel “misterioso ringraziamento alla Brigate Rosse” che apre e chiude Esterno Notte e su cui gli sceneggiatori hanno lavorato circa due anni di scritture e riscritture.
A quelle stesse carte ha attinto anche Fabrizio Gifuni per il suo potente spettacolo (Con il vostro irridente silenzio. Studio sulle lettere dalla prigionia e sul Memoriale di Aldo Moro) che l’ha portato nei teatri italiani nei panni dello statista ucciso. Ed ora anche nella serie di Bellocchio. Alla fine, dunque, il cerchio artistico si è chiuso. Quello sui tanti misteri di questa storia ancora no.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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