Quando Gramsci stroncava Pirandello

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un “innesto” di Guido Albonetti

La recensione de “L’innesto” scritta dal grande filosofo comunista nel 1919 quando era critico teatrale de l’Avanti! “Le sue commedie sono tante bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e producono crolli di banalità, rovine di sentimenti, di pensiero”, scriveva del drammaturgo. Ma questa non gli era piaciuta affatto.

Esiste nell’arte del giardinaggio una forma di innesto che si pratica nel mese d’agosto e si chiama innesto a occhi chiusi. La pianta accoglie «amorosamente» il tallo, col quale la mano rude ma esperta del villano la violenta, lo assimila al suo amore, al suo desiderio di frutto, lo accoglie a «occhi chiusi», nutrendolo della sua follia, di tutta la sua vita che aspira alla maternità, alla creazione di nuove vite. Chi domanderà alla innocente pianta l’origine legittima della sua fecondità? Anche la signora Laura Banti è una sterile pianta, violentemente aggredita da uno sconosciuto villano, la quale ha ricevuto a «occhi chiusi» il germe vitale che la renderà madre, e lo ha assimilato alla sua vita, al suo amore, e lo ha nutrito di tutto il suo spirito, del quale è essenziale parte lo spirito, l’amore e il corpo fisico del consorte legittimo. Solo che questo legittimo e ben individuato consorte ha i suoi scrupoli e la sua suscettibilità e la sua volontà che sono due con quelli della moglie e non solo uno come nello stesso fiore sterile il pistillo e il gineceo che compiono il rito fecondatore senza nulla generare. Come venga superato lo stato d’animo di Giorgio Banti, come Giorgio Banti finisca col dividere la follia amorosa di sua moglie e accettare per suo (credere suo) il figlio nascituro, dovrebbe essere argomento di questi tre atti del Pirandello.

Il quale non ha voluto e non ha osato affrontare apertamente la concezione elementare della commedia: un figlio è solo fisica generazione, mero prodotto di un accoppiamento casuale, oppure è amore essenzialmente, nuova vita che scocca dalla fusione intima permanente di due vite? E ha irrigidito un’azione, ricca di umanità e di liricità, intorno a una fredda metafora da giardinaggio, e ha finito col credere, un po’ anch’egli, all’accostamento artificiale tra gli uomini e le piante e ha presentato questo problema sessuale, che è poi fondamentale nella vita degli uomini, avvolgendolo in una artificiosa bambagia di dialogo a mezzi termini, ad accenni, a furtività sentimentali, accatastando tre gradi di vita in cui il problema si presenta (la pianta, una rozza villanella e laspirituale signora Banti), quasi non sapesse come esprimere al pubblico e come organare in atto la concezione che pure era chiara nella sua fantasia. Sono stentati i tre atti, prolissi nella loro secchezza e congestione. L’argomento è posto, ma non vivificato, la passione e la follia sono presupposte, ma non rappresentate. Il Pirandello non ha neppure realizzato una di quelle sue «conversazioni» drammatiche, che se non conteranno molto nella storia dell’arte, avranno invece molta parte nella storia della cultura italiana. (29 marzo 1919)

Testo tratto da Cronache teatrali in appendice a Letteratura e vita nazionale dai celebri Quaderni del carcere

le altre recensioni di Antonio Gramsci agli spettacoli di Pirandello scritte per l’Avanti! su http://lafrusta.homestead.com/rec_pirandello_gramsci.html