Quante storie dietro a “La Storia”. Il capolavoro di Elsa Morante tra attacchi e successo è (un bel) doc

Presentato al Biografilm di Bologna “La Storia: Il Romanzo dello scandalo” di Silvia Luzi che andrà in onda il 17 giugno su Rai 5 (ore 22.55) nell’ambito di “Sciarada”.  Si ripercorre la storia e il senso de “La Storia”, il suo successo clamoroso e imprevedibile che, calamita, inevitabilmente, anche non poche violente critiche da intellettuali e politici dell’epoca. Spesso contraddittorie. “Troppo consolatorio, sentimentale, troppo popolare, senza eroi, un romanzo che stride col momento politico. Che ignora le lotte di classe, rinunciatario, non mette in campo nessun personaggio che combatta per i valori rivoluzionari…”

“L’umanità contemporanea prova l’occulta tentazione di disintegrarsi”. “Il primo germe nasce con la specie umana”. “L’arte è il contrario della disintegrazione”. “Il poeta è destinato a smascherare gli imbrogli”.

Sono pensieri&parole – nulla di più contemporaneo – che sentiamo dire dalla voce di una Elsa Morante di allora, in primo piano, con quella sua buffa e fitta frangetta arrotolata sulla cima della fronte con cui si apre il bel documentario di Silvia Luzi (Il cratere, Io sono Sofia, Dell’arte della guerra) presentato al Biografilm 2024.

Racconta la storia de La storia, concimata per bene in un’impervia valle di montagna, non lontano da Sant’Agata, un micro borgo di Fondi trapuntato da olivi.

Diretti a Napoli, in fuga da Roma l’8 settembre del ’43, perché Moravia è ricercato da fascisti e nazisti, quando il treno si rompe, è lì che, fino al maggio del ’44, riusciranno a nascondersi Elsa, trentenne con alle spalle solo racconti giovanili, armata di due quaderni, e Alberto, all’epoca lo scrittore più famoso d’Italia, accuditi da una famiglia di contadini.

Concime buono comunque anche per Moravia che scriverà nel 1957 La ciociara, tre anni dopo diventato un film di De Sica con Oscar per Sofia Loren.

Entrambi ebrei – lei come Ida, la sua futura protagonista de La storia, solo da parte di madre – in quel diroccato e isolato casolare con allegata porcilaia riusciranno a salvarsi, condividendo la rude e semplice vita di pura sopravvivenza con quella gente che vive di fatica, dormendo su paglia e legno e nutrendosi del poco che procura loro la nonna di Raniero Marrocco. Cognome che, trent’anni dopo, ricorrerà insieme ad altri, per omaggio, ne La storia.

È lui, all’epoca undicenne, che oggi, insieme a molti documenti del Luce, agli interventi di René de Ceccatty, di Angela Borghesi, di Marino Sinibaldi, del nipote Daniele Morante (nella foto), che racconta il suo aiuto di guida della Morante nella scoperta di quartieri della città che non conosceva, come appunto San Lorenzo, mappa sentimentale e conoscitiva dove è appunto ambientato il romanzo, e del bel film tv di Comencini con Claudia Cardinale (risparmiandoci quello della Archibugi), ripercorrono la storia e il senso de La Storia, il suo successo clamoroso e imprevedibile, quando l’ombrosa autrice (prima donna italiana a vincere il premio Strega con L’Isola di Arturo nel 1957), riesce ad imporre nel 1974 all’editore un’edizione economica di 100.000 copie a sole 2000 lire per un romanzo di 661 pagine. Un terzo del suo normale valore. Una scommessa stra-vittoriosa (con immediata ristampa che arriverà a un milione di copie).

Quel che voleva raccontare è stato capito. “Chi subisce non decide e chi decide non subisce”, è la sintesi perfetta di una donna, che ha amato questo libro appena letto, intervistata allora per strada.

La storia di un popolo condotto a seguire un uomo politico col quale non era d’accordo. La principale vittima di quella guerra, come di tutte le guerre, che non voleva. Morante ce lo racconta con la storia di Ida, una madre sola, e dei suoi figli Nino e Useppe. Il primo senza più il padre e il piccolo, frutto di una violenza subita da un soldatino tedesco. “Stupro di centomila animali ragazzi… per disciogliersi dentro il suo ventre in una resa dolce, tiepida, ingenua che la fece sorridere come l’unico regalo di un povero o di un bambino”. E non ricordo una descrizione così commuovente capace anche di difendere la deviata umanità di questo male assoluto: lo stupro. Come ci fa notare Sinibaldi, seduto su una panchina arrugginita di un ex palazzo popolare della città.

Successo che calamita, inevitabilmente, anche non poche violente critiche da intellettuali e politici dell’epoca. Spesso contraddittorie. “Troppo consolatorio, sentimentale, troppo popolare, senza eroi, un romanzo che stride col momento politico. Che ignora le lotte di classe, rinunciatario, non mette in campo nessun personaggio che combatta per i valori rivoluzionari…”

Ecco Rossanda il 7 agosto su il manifesto: “Vendere patate è meglio che vendere disperazione”.
La “venditrice” non risponde mai alle critiche. Né ai giornalisti e nemmeno a Pasolini, suo ex amico carissimo stizzito, più che dal libro, dal fatto che Elsa aveva giustificato l’abbandono di Ninetto Davoli, “un ragazzo di 23 anni ha diritto alla sua vita”.

Lei non difende la sua storia che ha definito “Uno scandalo che dura da 10.000 anni”. Rispondono direttamente i lettori sui giornali per difenderla.

Questo mélange di umiltà e orgoglio, che l’ex marito ha definito cattiva, forse anche perché, con orgoglio femminista, ha sempre snobbato il cognome Moravia, non farà più incontri o interviste soprattutto dopo che il suo ultimo amore (dopo quello con Visconti), l’omosessuale Bill Morrow, finirà giù da un grattacielo.

Continuerà imperterrita il suo percorso letterario sino alla morte questa grande, solitaria scrittrice geniale.
E a noi viene il sospetto che anche l’autrice de L’amica geniale, altro successo ma recente della nostra epoca di proporzione internazionale, abbia preso lo spunto e in questo seguito le impronte del percorso solitario, ma ben riuscito di lei.