Quelli che l’arte la fanno per vocazione. Parola di Franceschini ministro delle spiaggette

Crisi del covid & spettacolo. Riflessione-sfogo di Roberto Scarpetti, sceneggiatore e drammaturgo a proposito delle considerazioni del ministro Dario Franceschini sull’emergenza dello spettacolo (a “L’aria che tira” de La 7). E dei suoi lavoratori che il ministro divide tra chi è famoso e chi lo fa per “vocazione”. “Il MIBACT in questi giorni dovrebbe cambiare nome in MIT visto che, invece di provare a immaginare soluzioni reali per gli artisti è impegnato solo a parlare di spiagge e plexiglas, promettendo agli italiani che l’estate non gliela ruberà nessuno …

Roma ai tempi del Coronavirus, foto di Ippolita Paolucci

 

L’annullamento del PRESENTE cancella il FUTURO.
I possibili futuri individuali, ma soprattutto il futuro collettivo.

Il ministro Franceschini parla dei “lavoratori dello spettacolo” dividendoli tra chi è famoso e chi lo fa per “vocazione”. E questo dimostra in maniera lampante la considerazione che il ministro ha per chi fa cultura.

I religiosi seguono una vocazione, che è spesso nell’immaginazione collettiva una strada di privazioni a cui vengono indirizzati da un’illuminazione divina. Considerare gli artisti alla stessa maniera, per me significa privarli del riconoscimento di un qualsiasi atto creativo che non deriva dal “divino”, ma che è frutto dell’intelligenza, del talento e della passione dell’uomo.

Significa privarli dell’arte stessa, arte che deve essere viva e attiva e propositiva, e che crea (o almeno dovrebbe) la nostra identità collettiva.

E invece l’arte, per la maggioranza degli italiani e molto probabilmente anche per Franceschini, è qualcosa di morto, da vedere in un museo, in un sito archeologico, o al massimo sfogliando un libro. In questo modo l’arte rimane cristallizzata nell’oggetto e non nel processo creativo che a quell’oggetto ha portato.

Il MIBACT in questi giorni dovrebbe cambiare nome in MIT visto che, invece di provare a immaginare soluzioni reali per gli artisti (e non “lavoratori dello spettacolo”, per favore!), è impegnato solo a parlare di spiagge e plexiglas, promettendo agli italiani che l’estate non gliela ruberà nessuno. Toglieteci tutto, ma non il mare!

Ma la cosa più grave, a parte questo mio preambolo di parte sull’arte e la cultura, è che sta risultando sempre più evidente, in questo secondo mese di emergenza, che siamo nel mezzo di una crisi istituzionale ancora più grave di quella economica.

L’Italia è lacerata tra istituzioni nazionali e locali che aumentano il caos e la confusione di un paese che, ora come mai, appare antiquato, immobile, inadeguato ad affrontare non solo l’emergenza, ma la modernità stessa.