Tre fratelli in fuga. L’insostenibile peso dei sentimenti, in commedia

In sala dal 31 maggio (per Kitchen Film), “L’arte della fuga” che il francese Brice Cauvin ha tratto dall’omonimo romanzo dell’americano Stephen McCauley. Un bel ritratto di famiglia, con tre fratelli in crisi, in una commedia che più francese di così non potrebbe essere. I protagonisti di questo racconto corale, incapaci di prendere una strada, hanno più o meno tutti voglia di scappare. “Sempre meglio avere rimorsi che rimpianti”, la battuta chiave del film …

La carne tremul-emotiva al fuoco non è poca in questa seconda opera (la prima era De particulier à particulier del 2006) che il regista francese Brice Cauvin ha tratto liberamente (ma c’è da dire con massima soddisfazione dell’autore) da uno dei romanzi dell’americano Stephen McCauley.

L’arte della fuga, che è stato in Francia nelle sale un buon successo nel 2014, esce ora in Italia distribuito da Kitchen Film.
È un bel ritratto di famiglia con molta voglia non d’interno (dunque con forte tentazione di fuga), questa commedia che, nonostante l’origine, più francese di così –  nel senso positivo del termine: per tradizione rodatissima teatral-letteraria – non potrebbe essere.

C’è anche da aggiungere che alla sceneggiatura, firmata dal regista con consulenza dell’autore del romanzo, non deve essere stato di poco conto l’apporto di scrittura di Agnès Jaoui – magnifica autrice, regista e attrice che abbiamo visto in tante splendide commedie in coppia quasi trentennale con l’ex marito Jean-Pierre Bacri – e che nel film ha il ruolo di Ariel, donna estrosa e maternamente coinvolgente che si occupa d’arte: redige per un privato, ma con senso critico, cataloghi per mostre a caccia di pubblico, fatte per far quattrini con la scusa di risollevare le sorti dei musei. Genere che fa accapponare la pelle al nostro Tomaso Montanari. E non solo. Collega di Antoine, con cui divide scrivania e amicizia con ruolo di grillo parlante, è a lei che esce la battuta chiave della storia: “Sempre meglio avere rimorsi che rimpianti”.

Non ha dubbi, beata, mentre per molti di noi tema parecchio presente e in prevalenza non risolto.
Come del resto il desiderio di fuga.
E basterebbe aver visto un po’ di Chi l’ha visto? per rendersi conto di quanta gente ha invece una gran voglia di darsela a gambe.
Dalla famiglia, dal lavoro, dal peso di troppi impegni e responsabilità, dalla paura di deludere i genitori che, per placare le loro inquietudini, ti vogliono accasato, dal desiderio di altrove, altra o altro, e così via.

Ma torniamo a L’arte della fuga.
Il film si apre con un bel giovane in bici che piange (Laurent Lafitte).
È Antoine, uno dei tre fratelli in crisi della storia. È sera e sta tornando nel suo appartamento, dove, appena entrato, si sdraia e abbraccia chi dorme nel letto sussurrandogli cose che capiamo a fatica.

Poi lo vediamo far colazione con caffellatte e croissant a casa dei genitori con la mamma (Marie Christine Barrault) che serve a tutti e tre i fratelli caffè e consigli affettuosi&spinosi, petulanti e soprattutto non richiesti. Aprendo con questa scena chiaramente la dinamica dei loro rapporti.

Dei tre il più abbacchiato è Gérard (Benjamen Biolay), sposato, con figlio, e appena mollato dalla moglie.
Louis (Nicolas Bedas), visibilmente il più apprezzato dalla mamma, ha invece l’aria più pimpante: è un rampantino che lavora a Bruxelles, ha una gran bella fidanzata da un decennio e poca voglia di portarla all’altare, come da subito ci informa Antoine che è a sua volta il grillo parlante della famiglia d’origine, quello che si fa anche carico dei problemi di tutti e non perde occasione di dire come le cose stanno veramente. Con un po’ più di reticenza per ciò che lo riguarda.

Incapaci di prendere una strada, hanno più o meno tutti voglia di scappare i protagonisti di questo racconto corale, fatta eccezione, forse, per Adar (Bruno Putzulu), il compagno psicanalista di Antoine, e del padre (Guy Marchand) che la sua fuga se la fa già ogni tanto con brevi ma, per la famiglia, coinvolgenti e non chiarissimi ricoveri in ospedale, e forse soprattutto se la sogna con la bellissima aspirante nuora (Elodie Trégé), sotto minaccia per la sbandata di Louis per una bruna niente male (Irène Jacob).
Chi e se qualcuno scoprirà l’arte della fuga in questa ben narrata e interpretata commedia sull’insostenibile peso dei sentimenti (a lungo andare, s’intende), ve lo lasciamo scoprire.

Ma non si può non rilevare che in questo film, dove un po’ tutti sono parecchio in crisi sentimentale, sia invece solidissimo, nonostante le differenze e i battibecchi, il fraterno rapporto dei tre figli.
Che è cosa rara e non da poco.