Viaggio a Kabul. Tra E.M.Forster e Tamerlano l’autoritratto doc di James Ivory
Il novantaquattrenne James Ivory grande protagonista alla Festa di Roma ha presentato “A Cooler Climate”, autoritratto doc a partire da un documentario da lui girato in Afghanistan sessantadue anni fa e mai uscito nelle sale. Nella Kabul dei ’60 passando da Venezia e poi New York, seguendo anche la sua educazione sentimentale. E con lo scrittore E.M.Forster come stella polare …
Interessante e godibilissimo l’auto-doc, A Cooler Climate, che il novantaquattrenne James Ivory ha scritto e codiretto con Giles Gardner.
La carellata parte da un giardino in inverno di una casa americana in stile un po’ palladiano. È una villa elegante e appena un po’ délabré del regista americano dove in soffitta, tra scatoloni di libri e vecchie pellicole, lui tira fuori il materiale di un documentario da lui girato in Afghanistan sessantadue anni fa e mai uscito nelle sale.
Un’occasione per vedere una Kabul e Bamiyan col suo Budda che non esistono più. Distrutte dalla furia talebana.
Un mondo scomparso come succede da sempre in quelle terre che, come afflitte dal supplizio di Tantalo, subiscono una perenne demolizione e ricostruzione.
Lui lì ci arriva giovanotto il 18 giugno del 1960 sosta a Kabul in un luogo che molti dicono zeppo di spie della Cia, che lui però non ha mai visto, in un’epoca lanciata verso il progresso in cui le donne potevano togliersi il velo, portare abiti scuri e scarpe italiane e lui comunque si sentiva un barbaro.
Ce lo racconta scrivendo il testo su una vecchia Brother nel suo studio davanti ad un grande schermo che riproduce le immagini girate allora, mischiate a quelle della sua infanzia in Oregon, di quando, come regalo, ha chiesto a Babbo Natale un gioco per bambole e gli è arrivato un castello che lui amava arredare non di bambole ma oggetti per scenografie.
Racconta del suo primo incontro col cinema quando suo padre lo portava alla MGM per consegnare il legname con cui avrebbero allestito i set. Apre l’album con foto dei compagni di scuola e ci racconta le sue prime attrazioni per giovanotti del suo sesso.
Nel ’51 lascia l’Oregon per Los Angeles e l’anno dopo è a Venezia con un tre piedi e una cinepresa per il suo primo documentario d’arte. È tornando in America che s’imbatte per caso in una serie di miniature indiane appena vendute, prima che il compratore se le portasse via, e decide di fare un documentario in Asia arrivando a Kabul affascinato dal tiepido clima e soprattutto dalla scoperta, grazie a E.M.Forster, scrittore dalle cui opere trarrà poi tanti film, dell’autobiografia, la prima al mondo, di Babur, imperatore che amava l’acqua e la poesia, discendente di Tamerlano che nel 1500 ha fondato la dinastia Moghul e l’India, ma ha anche scritto che non gli era congeniale e preferiva di gran lunga L’Afghanistan e Kabul.
Tornano ancora le immagini afgane con i bambini che giocano a pallone con le teste di capre. Il ciliegio e il giardino pieno di ruscelli creato da Babur, la storia del suo matrimonio ma anche del turbamento dovuto alla sua attrazione per un ragazzo. Che James legge come tanti altri passi dalla sua autobiografia che sarà la sua guida e che non può non affascinare il giovane Ivory all’epoca ancora illibato.
Racconta anche che gli afgani non risparmiavano violenze sessuali ai giovani e che una volta anche lui aveva temuto o sperato di subire una cosa del genere da dei tizi che aveva incontrato. Se ne ritornerà però in autunno a New York come era partito. Lì incontrerà nel ’61 Ismail Merchant che sarà il socio, compagno e produttore per tutta la sua vita, a cui si affianca da subito Ruth Prawer Jhabvala, la scrittrice angloindiana dal cui romanzo The Householder trarranno il loro primo film.
Un triangolo perfetto che darà origine alla più longeva casa di Produzione.
Del resto, ci dice James salutandoci, se due gay hanno insieme un progetto potrebbero governare il mondo.
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