Con Bellocchio nell’Italia dei vampiri

Un film folgorante, una frustrata sarcastica contro il potere di ieri e di oggi. Tra la Monaca di Monza e “L’ispettore generale” di Gogol. Visionario e spiazzante. È “Sangue del mio sangue”, terzo italiano passato nel concorso veneziano e già nelle sale…

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I riferimenti letterari, per ammissione dello stesso autore, sono la Monaca di Monza, eroina manzoniana e L’ispettore generale, esemplare approdo del teatro di Gogol nella sua capacità di svelare, attraverso il riso e il grottesco, l’ingordigia e la corruzione della società ossessionata dal denaro. Come legare insieme queste due suggestioni, senza vincoli narrativi ed obblighi di sceneggiatura, solo ad un autore libero e visionario come Marco Bellocchio poteva riuscire.

Sangue del mio sangue, infatti, terzo film italiano sceso in concorso, è una potente summa del cinema del grande regista che oggi, a 75 anni, sembra essere ancora più libero del passato (“Con la vecchiaia – dice – o ti rimbambisci o continui a divertirti”). Un film denso, da godere nel suo tratto graffiante, sarcastico nei confronti del potere (“sono un anarchico” ribadisce Bellocchio, “anche se oggi più moderato e non mi vedo a tirare sassi insieme ai No Tav”), che sia quello della Chiesa – come fu per L’ora di religione – o quello democristiano e piduista che ancora pervade la cultura politica del nostro paese.

Un film che, a cinquantanni esatti dai Pugni in tasca, torna a parlare di legami familiari, come esplicita il titolo, per il quale il regista ha chiamato a raccolta nella sua Bobbio natale la sua vera famiglia (i figli Pier Giorgio ed Elena e il fratello Alberto) e quella artistica (Roberto Herlitzka, Toni Bertorelli, Filippo Timi, Alba Rohrwacher, Federica Fracassi). Firmando uno spiazzante affresco tra passato e presente, tra vampiri e cardinali, faccendieri senza scrupoli e folli, ma soprattutto donne a cui ancora una volta Bellocchio assegna il posto d’onore, la forza, l’idealità e la vitalità che per secoli gli uomini (“sono dei poveracci”, dice il regista)  hanno tentato di imprigionare, rinchiudere tra le mure delle case o nei conventi. Murate vive, addirittura, come la protagonista della prima parte di Sangue del mio sangue, colpevole di aver sedotto un alto prelato.

Diviso in due, con un taglio netto tra epoche, il film incomincia con una storia di inquisizione e persecuzione religiosa ambientata nel Seicento, nel convento di Bobbio. Qui arriva un uomo d’armi, Federico Mai (Pier Giorgio Bellocchio) richiamato dalla morte del suo gemello, suicidatosi dopo aver ceduto all’amore per una suora. A lei tocca la triste sorte di finire murata nelle segrete del convento, a lui quella di ottenere la sepoltura del fratello in terra consacrata, dopo una serie di prove che dimostrino la combutta col diavolo della “strega”. Poi, stacco. Si passa ai giorni nostri. Nella Bobbio di oggi.

Nel convento ormai abbandonato fa irruzione un nuovo Federico Mai, un traffichino che si dice ispettore ministeriale deciso a fare il colpaccio vendendo lo storico luogo ad un riccone russo. Quello che Federico non prevede è che lì dentro vive nascosto dalla luce del sole, come un vampiro, il Conte (uno straordinario Roberto Herlitzka), espressione decrepita di quel potere – ieri era la Chiesa – che da sempre ha tenuto in pugno il paese: notabili, preti, politici.

Insomma Bobbio come il mondo. Lo dice espressamente il Conte in uno dei momenti più strepitosi del film. Il duetto tra lui e il suo dentista (un gigantesco Toni Bertorelli), un folgorante e sarcastico affresco di questo nostro presente fatto di volgarità, retorica da social network, corruzione, impunità e vuoto spinto che coglie i due interpreti in una prova d’attore epocale.

Sangue del mio sangue è in sala dal 9 settembre per 01. Da non perdere assolutamente.