“Cronache di poveri amanti” 60 anni dopo
L’occasione, una proiezione al cinema Trevi di Roma del film di Caro Lizzani del ’54, ispirato al celebre romanzo di Vasco Pratolini. Riflessioni intorno ad un adattamento che, a posteriori, sembra aver superato di gran lunga il testo. Il suggerimento, rileggere e rivedere…
Capita di rileggere un classico come Cronache di poveri amanti (il libro di Vasco Pratolini pubblicato nel 1946 da Vallecchi) e, pochi giorni dopo avere riposto il libro nel suo ripiano, ammirarne la trasposizione cinematografica compiuta nel 1954 da Carlo Lizzani grazie alla lodevole iniziativa del cinema Trevi di Roma, che il 22 e il 23 settembre ha dedicato una retrospettiva a uno dei protagonisti del film, Gabriele Tinti. Beh, questa speciale e fortuita coincidenza induce a riflettere su un terreno connaturato a questo sito, e cioè il rapporto tra cinema e letteratura.
Cronache di poveri amanti, libro, è un intreccio di storie che hanno come teatro un angolo della vecchia Firenze, via del Corno, in un periodo in cui il fascismo è in pieno rigoglio tra le due guerre mondiali. Nel libro non c’è un vero protagonista, se si esclude appunto via del Corno, e i vari personaggi che la popolano disegnano un affresco corale, molto letterariamente corretto ma forse tra quelli meno riusciti che Vasco Pratolini ambienta nella sua città di elezione.
Leggendo quel romanzo oggi, infatti, si fatica un po’ a entrare nella psicologia e nel carattere, addirittura nella peculiarità dei personaggi (uniche eccezioni Maciste, maniscalco destinato a essere vigliaccamente ucciso dai fascisti, e la signora Milena, che tutto osserva e controlla attraverso gli occhi delle sue ragazze dal letto della stanza in cui è immobilizzata), e solo quando le vicende storiche prendono il sopravvento la scrittura sembra finalmente spiccare il volo. Ma questo avviene quasi alla fine del romanzo, che perciò risulta un po’ bozzettistico, dispersivo, senza raggiungere mai una sua compiutezza. Forse questo è anche l’effetto di una rilettura tardiva, che si è lasciata alle spalle l’ingenuità, il candore, e anche la nostalgia di un’epoca precedente alla seconda guerra mondiale, descritta peraltro quando tutte le vecchie illusioni erano cadute da un pezzo e il boom economico era alle porte.
Ed ecco, invece, uno di quei casi in cui il film supera di gran lunga il testo che l’ha ispirato. Pur mantenendo intatta la struttura narrativa del libro, e anche qui è significativo che lo stesso autore del testo non si sia dissociato dall’opera cinematografica come spesso succede, la sceneggiatura di Sergio Amidei, Giuseppe Dagnino, Massimo Mida, dello stesso Carlo Lizzani, e il lavoro del regista riescono a dare un’anima non solo alla strada, ma anche ai suoi personaggi.
Via del Corno è mirabilmente ricostruita in un teatro di posa, ma all’aperto, in modo da poter sfruttare la luce naturale ed avere una fotografia simile a quella degli esterni girati a Firenze. I personaggi sono affidati ad attori che in gran parte iniziavano allora una carriera destinata a raccogliere molti allori: Marcello Mastroianni, Antonella Lualdi, Cosetta Greco, Anna Maria Ferrero, Gabriele Tinti, ai quali si aggiungono il regista Giuliano Montaldo e il discobolo olimpionico Alfonso Consolini, nella parte di Maciste.
Le quasi due ore del film scorrono via che è una meraviglia. I fascisti risultano odiosi al punto giusto, la storia ha i tempi e l’armonia di una partitura musicale, e i personaggi che affollano via del Corno risultano tutti assai credibili nei loro ruoli, riuscendo a esprimere ciascuno a suo modo lo spirito autenticamente popolare del cinema di quel tempo, che peraltro risultava fortemente debitore della migliore tradizione teatrale italiana.
Una menzione speciale va riservata a Wanda Capodaglio, che interpreta la parte della signora Milena, e ad Antonella Lualdi, mai più così bella e sensuale come in questo film, che pur avendo vinto il Prix International a Cannes e due Nastri d’argento, per la musica e la scenografia, non figura come meriterebbe tra le migliori opere del cinema italiano del dopoguerra e ha finito per essere un po’ dimenticato.
Dunque, un film che supera il libro. Succede forse quando la sceneggiatura screma via le parti inutili, quando gli attori riescono a dare ai personaggi il carattere che manca loro nel testo, quando l’ambientazione reale eguaglia o supera l’immaginazione che la lettura del libro ispira al lettore. E, infine, quando il regista coglie l’anima vera di un libro, senza tradirla e forse portandone ancora più in alto l’ispirazione.
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