Citto Maselli: “Addio Rondi, utile intellettuale della Dc”

Se n’è andato a 94 anni, il decano della critica cinematografica Gianluigi Rondi, “grande manovratore” del cinema italiano per oltre settant’anni. Citto Maselli racconta il suo ruolo politico di “braccio armato di Andreotti”, quando era il “nemico numero 1” dell’Anac…

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Onoreficenze dalla Spagna di Franco, dalla Jugoslavia di Tito, dal Vaticano, dalla Francia, dall’Ungheria, dai Paesi Bassi, dall’Egitto, dalla Cecoslovacchia. Non si riescono neanche a contare tutte le “medaglie” internazionali che Gianluigi Rondi, nella sua settantennale carriera di critico e uomo di cinema, ha appuntato alla sua giacca, varcando in tempi di “Cortina di ferro”, frontiere che ad altri erano proibite.

Lui democristiano doc, uomo di Andreotti fin dalla prima ora, la “diplomazia” l’ha avuta sempre nel sangue, con quella sua indole gentile che tutti gli riconoscono, ma che non gli ha impedito, negli anni delle grandi battaglie culturali di questo Paese, di essere considerato il “nemico numero 1” per tutti coloro che stavano dall’altra parte della barricata.

L’Anac, per esempio, la storica Asssociazione degli autori cinematografici, “covo” di pericolosi comunisti, da Zavattini a Visconti per intenderci, che si batteva contro la feroce censura “moralizzatrice” dell’Italia del dopoguerra, per la riforma dello statuto di era fascista della Biennale di Venezia, per un cinema d’autore che non temesse il dictat – andreottiano – dei “panni sporchi si lavano in famiglia”.

“Gianluigi Rondi? Averlo nemico era un problema”, ci racconta, infatti, Citto Maselli che del celebre critico, appena scomparso, “nemico” – politicamente s’intende – lo è stato tutta la vita. “Con la sua fitta rete di rapporti internazionali – continua – bastava una sua telefonata ai festival, Cannes in primis, perché un film venisse preso o cancellato dal concorso. Perché un progetto ottenesse o meno il minimo garantito. Perché un film fosse venduto all’estero”.

Uomo dalla memoria lunga, e testimone del Novecento, Citto ricorda i primi passi mossi da Rondi, giovane partigiano cattolico, sulle pagine di Voce operaia, in ascolto di quel “vento del Nord” del dopoguerra che l’avrebbe portato, però, nel ’48 con la vittoria della Dc, a diventare “il braccio armato di Andreotti”.

Nonostante – e su questo Maselli è lapidario –  la “sua grande intelligenza, preparazione e obiettività di critico cinematografico” su Il Tempo di Angiolillo, che sempre ha marciato parallela alla sua attività “politica”. Anche se resta storica la sua stroncatura a Le mani sulla città di Rosi, accolto con un “no, no, no”, poi “cancellati” per sua stessa ammissione, all’indomani del grande successo di pubblico.

“Nessun attacco frontale ai film neorealisti”, per esempio, prosegue ancora Maselli, anzi “ricordo il suo grande entusiasmo per la Terra Trema di Visconti, col quale ha sempre avuto un rapporto privilegiato”. Ma allo stesso tempo, ancora, ricorda quel convegno a Parma del ’53, dedicato proprio al Neorealismo – quando sotto attacco era proprio il capolavoro di quella stagione, Umberto D – “in cui Rondi si presentò dicendo che la vera grande novità era rappresentata da Cronaca di un amore di Antonioni – del quale Maselli era aiuto e sceneggiatore – , perché finalmente metteva al centro del racconto la borghesia, e non più il mondo proletario di De Sica che riteneva ormai superato. Indicando, insomma, una nuova strada per il cinema italiano che rendesse protagonista il mondo borghese e chiudesse i conti col Neorealismo” e i suoi panni sporchi.

Tra le battaglie più accese, Maselli ricorda poi quella contro la censura, scritta da Andreotti nel ’49, affiancanto da un solerte gruppo di collaboratori, fra cui il giovane Rondi. E ancora quella per la riforma della Biennale. All’arrivo di Rondi a Venezia, nel 71, come commissario scoppiò una sorta di putiferio, stigmatizzato dalla celebre frase di Pasolini: «Sei così ipocrita che quando la tua ipocrisia ti avrà ucciso, sarai all’Inferno e ti crederai in Paradiso».

“Un capolavoro di opportunismo”, insomma, definisce Citto l’azione politica di Rondi, a cui riconosce le doti di “grande lavoratore, attentissimo ai minimi dettagli e, in fondo, un utile intellettuale a disposizione della Dc di quegli anni”. Un “avversario”, insomma, che per altro ha sempre amato il cinema di Maselli il comunista, come testimoniano le sue recensioni a volte addirittura entisiastiche dei film di Citto.

Il suo Storia d’amore, non se lo scorda Maselli, sotto la direzione di Rondi a Venezia, vinse il Premio speciale della giuria e la Coppa Volpi per la giovanissima Valeria Golino. Come non si scorda ancora Citto quella volta che negò a Rondi l’intervista per il libro sui 50 registi italiani – uscito alla fine col titolo Sette domande a 49 registi – , unico tra i grandi autori di sinistra ad avere detto no.

Ed unico ancora oggi a raccontare luci ed ombre di un “grande manovratore” del cinema italiano, di cui le ombre, ormai, sembrano essere state dimenticate da tutti.