Le morti black per mano poliziotta. Minervini tra le vie di New Orleans

In sala dal 9 maggio (per Valmyn e Cineteca di Bologna) “Che fare quando il mondo è in fiamme?”, secondo italiano del concorso a Venezia 2018 e nuovo tassello del cinema documentario di Roberto Minervini, dedicato all’America razzista e alle morti degli afroamericani per mano della polizia. Storie in bianco e nero per le vie di New Orleans alla ricerca dell’identità black. Con qualche scivolata …

Che fare quando il mondo è in fiamme? Puntare la telecamera dove le fiamme bruciano più alte e raccontare. È la scelta di campo che Roberto Minervini ha compiuto da tanti anni col suo cinema immerso nella realtà. Quella dell’America più profonda e marginale soprattutto, la più distante dal “sogno”, quella dei poveri, dei marginali e che meglio conosce, avendo scelto il Texas come casa (dove vive con la famiglia), dopo tanto peregrinare per il mondo.

A quei lavori (la “trilogia del Texas”, Louisiana – The Other Side) importanti, che lo hanno consacrato nei festival internazionali, si aggiunge ora questo nuovo capitolo, approdato in concorso a Venezia 75, nella pattuglia dei tre italiani e che la Cineteca di Bologna porta in sala dal 9 maggio.

E il Che fare? per noi di “leniniana” memoria, trae invece origine dai versi di un antico spiritual. Perché dell’ America razzista e dell’interminabile rosario di afroamericani ammazzati dalla polizia si parla. Anzi si vede, e come si vede. Nel suo personalissimo stile Minervini non molla mai i suoi personaggi. Li inchioda in quei primissimi piani che scrutano l’anima, che colgono ogni segno del volto e degli occhi. Al punto, certe volte, da farti invocare un campo lungo per allentare la tensione e respirare.

Storie in bianco e nero quelle che raccoglie per le vie di New Orleans. Nella città distrutta prima da Katrina e poi dalla spietata gentrification, Minervini segue le vite dei neri messi all’angolo dalle politiche liberticide di Trump, dal razzismo mai sopito e sempre in crescita, dalla povertà che lascia ogni giorno senza tetto sempre più cittadini.

Judy per esempio, grandi occhi neri e cerchi giganti alle orecchie, ha fatto di tutto per tenersi stretto il suo bar, la sua ancòra di salvezza dopo brutte storie di crack. E Ronaldo e Titus, due adolescenti col padre in galera, cercano anche loro una strada per non ripetere gli stessi errori vissuti in famiglia, interrogandosi sull’identità e sulle battaglie dei neri.

Battaglie fondamentali di cui le Black Panthers, tanti anni fa, sono state il simbolo più radicale. E di cui quelle di oggi, il “Nuovo partito delle Pantere Nere per l’autodifesa” mostrate da Minervini in azioni di protesta e solidarietà per le strade della città, appaiono piuttosto uno sbiadito ricordo. Tanto da essere state sconfessate dagli stessi leader di allora. E da risultare nel film una facile scorciatoia verso l’effetto spettacolare, come pure alcune confessioni molto – troppo – personali dei protonisti a cui, del resto, già il precedente Louisiana – The Other Side, ci aveva abituato.

Non va perduta comunque la dura denuncia del film contro la montante violenza nei confronti degli afroamericani. Recentemente stigmatizzata dall’ironia di Spike Lee col suo irresistibile Blackkklansman, premiato a Cannes, ma anche dai tanti registi che ancor prima di Minervini si sono chiesti Che fare? E pensiamo al Raoul Peck di I Am Not Your Negro,  Ava Marie DuVernay, la regista di Selma che in 13th ha denunciato le discriminazione ai danni dei neri del sistema carcerario americano. E persino Ezra Edelman con O.J.: Made in America che si è portato via l’Oscar lo scorso anno come miglior documentario.