In viaggio con John Clare, quando il cinema diventa poesia

È “By our selves” di Andrew Kötting, più che un documentario una vera performances dedicata al poeta inglese che fuggì dal manicomio per ritrovare la sua amata. Un nutrito gruppo di varia umanità ha ripercorso lo stesso cammino tra allegoria e fiaba…

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John Clare era un poeta inglese nato alla fine del 1700. Aveva quattro fratelli e una sorella gemella, che non sopravvisse, genitori quasi analfabeti, un padre ex lottatore e trebbiatore, una scuola che poteva frequentare solo tre mesi l’anno. John era platonicamente innamorato di Mary Joyce, una ragazzina figlia di un coltivatore benestante. Nel 1812 si arruolò nella milizia volontaria per combattere Napoleone. Poi fece il giardiniere, il fornaciaro, il bracciante, il mietitore, e si innamorò di Mary Patty Turner che sposò e con la quale ebbe otto figli.

Il primo libro, Poems Descriptive of Rural Life and Scenery, lo scrisse nel 1820. Vendette quasi 4000 copie, un bel successo. Continua a scrivere, poesie e satire sulla vita agreste, vende molto di meno e l’insuccesso lo porta ad ammalarsi: ansia, depressione, perdita della memoria. E gli ritorna in mente l’amore per la piccola Mary Joyce, gli ritorna in mente l’immagine del padre. John crede di essere come lui. Crede di essere un lottatore, o, talvolta, un pugile. E crede altro.

Crede di essere stato amico di Shakespeare, Lord Byron o Thomas Gray. Spesso crede di essere uno di loro. Ma non nel senso che crede di essere un grande poeta. È che crede proprio di essere William Shakespeare, o Byron o Gray. Di quest’uomo, di questo poeta che spesso non sapeva chi fosse, la poesia più conosciuta, si chiama I am (leggila qui) e la prima strofa recita “I am — yet what I am none cares or knows”.

Nel 1837 viene rinchiuso nella clinica per malati di mente di High Beech, nei pressi della Epping Forest, nell’Essex. Nel 1841 evade e parte alla ricerca di Mary Joyce, la ragazzina di cui era innamorato da bambino, purtroppo però già morta da tre anni. Ottanta miglia dividono la clinica dalla città di Northborough nel Northamptonshire. Da questo viaggio Clare, una volta tornato a casa, ne ha scritto la cronaca The Journey out of Essex. Qualche mese dopo viene rinchiuso nel Northampton General Lunatic Asylum, che lo ospiterà sino alla morte.

By our selves, documentario performativo diretto da Andrew Kötting, prende le mosse dalla cronaca del viaggio di Clare. Sette persone che ripercorrono la sua stessa strada: Toby Jones, l’attore britannico che abbiamo visto quest’anno nei panni del Re della Pulce ne Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, e che qui interpreta il ruolo del poeta folle; Freddie Jones, che di Toby è il padre, visto in molti film di David Lynch e anche nel ruolo dello stesso John Clare, in un popolare sceneggiato televisivo inglese degli anni Ottanta.

E assieme a loro altre persone, tra le quali un mago, Alan Moore, e uno psicogeografo Iain Sinclair, che firma anche il soggetto del film e che nel 2005 aveva già scritto un libro, Edge Of The Orison, John Clare’s Journey Out Of Essex, nel quale raccontava le relazioni tra la storia di questo viaggio e la storia dell’infanzia di sua moglie Anna. Ovviamente poi, nel gruppo, non potevano mancare né il regista, Andrew Kötting, travestito da orso di paglia, ossia da quella che è la messa in scena della follia che albergava nella testa di Clare, né la figlia di Kötting, la musa ispiratrice delle sue storie e della sua poetica: Edna, una ragazzetta purtroppo affetta da una malattia genetica rara, la sindrome di Joubert, che qui è abbigliata come la Doroty del Mago di Oz.
Kötting, nato nel Kent, ha realizzato il suo primo lungometraggio nel 1996, Gallivant, viaggio lungo le coste della Gran Bretagna, in compagnia dei Edna e della nonna Gladys. Una sorta di performance, come performance è By our selves. Raccogliere un gruppo di amici dalle relazioni multiple, padri  e figli, amici, registi e attori, orsi di paglia, una bambina e tecnici del suono che registrano tutto, lungo un percorso già battuto, in compagnia di uno psicogeografo, colui che studia le influenze dell’ambiente sul comportamento affettivo degli individui.
Kötting osserva tutto questo. Mette in scena la situazione e guarda il suo evolversi, lasciando soltanto intravedere quelle che sono le sue emozioni. Non è la storia il suo obiettivo, non la suspense: “io penso – ha detto una volta – che i lavori che mi ispirano siano ambigui, letterari. Ma il paradosso è che più sei minimalista, più sei allegorico e più ti trovi a realizzare delle fiabe”.

Perché la poesia è dolore e tristezza, ma è anche saper guardare la meravigliosa bellezza del creato. E il documentario, questo film che racconta di persone che camminano, può essere la forma più semplice per raccontare quando la realtà diventa poesia. Quando nonostante i dolori del corpo e della mente, nonostante le malattie genetiche o della psiche, la nostra presenza nel mondo trova un senso che ci permette di capire chi siamo.