Addio al “marxista mandrakista” Flavio Bucci. I tanti ruoli (spesso letterari) di un grande attore


È scomparso martedì 18 febbraio a settantadue anni Flavio Bucci, poliedrico interprete di tanti personaggi memorabili (anche) al cinema e in tv: dagli esordi con Petri agli adattamenti da grandi romanzi (“Uomini e no”, “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”), passando per i successi televisivi (“La piovra” e, soprattutto, “Ligabue”) e i ruoli culto come caratterista (“Suspiria”, “Il marchese del Grillo”, “Il divo”). Un artista che, con la sua inconfondibile maschera, ha saputo muoversi con intelligenza tra dramma e grottesco per quasi cinquant’anni…

 

«Io, ragionier Total, non sono diverso da voi. Né voi siete diversi da me»: così si presenta di fronte agli spettatori, nell’incipit de La proprietà non è più un furto (1973, di Elio Petri), il primo, emblematico protagonista incarnato per il cinema da Flavio Bucci, scomparso il 18 febbraio a settantadue anni.

Quel volto magro e allungato, col naso aquilino e i grandi occhi tondeggianti, era la maschera perfetta per il “marxista mandrakista” Total (ossessionato dal furto come disperato gesto di lotta politica), e lo sarà per tante altre figure, ora tragiche ora ironiche, spesso grottesche, che hanno segnato la storia del grande e piccolo schermo per quasi cinquant’anni.

Con Petri, l’attore aveva esordito davanti alla macchina da presa (era uno dei lavoratori sfruttati de La classe operaia va in Paradiso, 1972), dopo la formazione al Teatro Stabile di Torino (città dove nacque nel 1947) e l’inizio dell’attività come interprete sul palcoscenico, che si manterrà intensa.

Il ruolo per cui ha avuto maggiore notorietà è forse quello di Ligabue (1977), nella miniserie Rai in tre puntate (diretta da Salvatore Nocita) sul pittore eccentrico ed emarginato, per cui Bucci ottenne anche un Nastro d’Argento: un personaggio, quello di Ligabue, che proprio quest’anno rivedremo (col volto di Elio Germano) nel film Volevo nascondermi di Giorgio Diritti (in concorso a Berlino).

Ma Bucci fu memorabile interprete in diverse altre opere cinematografiche e televisive, incarnando più volte protagonisti e comprimari della miglior letteratura. Pensiamo, ad esempio, a Ingravallo, il commissario col «bernoccolo» della filosofia (e, come Bucci, di origine molisana) de Quer pasticciaccio di Gadda, nella trasposizione tv diretta da Piero Schivazzappa nel 1986. E pensiamo anche al partigiano milanese Enne 2 del capolavoro Uomini e no di Elio Vittorini, adattato da Valentino Orsini nel 1980.

E, ancora, ci sono lo scrittore Russ, amico e mecenate di Martin Eden (nella trasposizione televisiva del romanzo di Jack London, quarant’anni prima del film con Luca Marinelli) o l’infido Terenzio Papiano, rivale di Adriano Meis nel Fu Mattia Pascal pirandelliano diretto da Monicelli (Le due vite di Mattia Pascal, 1985).

Più di recente, l’attore ha lavorato anche ne La scomparsa di Patò (2010), di Rocco Mortelliti, dall’omonimo giallo storico (2000) di Andrea Camilleri, e in Agadah (2017), trasposizione di Alberto Rondalli dell’ottocentesco Manoscritto trovato a Saragozza di Jean Potocki.

Sempre tra i ruoli di derivazione letteraria non possono mancare, nella carriera cinematografica e televisiva di Bucci, gli adattamenti da opere teatrali: nel Sogno di una notte d’estate (1983) di Gabriele Salvatores (dalla celeberrima commedia shakespeariana) è il re degli elfi, Oberon. Ed è il commissario Braschi nello sceneggiato Poco a poco (1980), diretto da Alberto Sironi e tratto dal dramma The Gentle Hook (1974) di Francis Dubridge.

A proposito di televisione, Bucci ha partecipato ad altri successi del nostro piccolo schermo: tra questi, La piovra, che lo vede nei panni del parroco antimafia don Manfredi. Ma forse non tutti ricordano che l’attore fu anche, occasionalmente, doppiatore: sua è la voce italiana di John Travolta nei primi exploit internazionali di quest’ultimo, La febbre del sabato sera e Grease.

La forza di Bucci e della sua maschera si misurano anche nella capacità di incidere come caratterista, spesso in titoli diventati culto, come l’horror di Dario Argento Suspiria (1977)- dove è il pianista cieco dell’accademia stregata –  o la commedia di Monicelli (con Sordi) Il marchese del Grillo (1981), che lo vede nella parte del brigante Don Bastiano.

Tra le performance più significative degli ultimi anni vanno certamente annoverate la parte del politico Franco Evangelisti ne Il divo (2008), di Paolo Sorrentino, e quella del materano Franco nella commedia satirica Il vangelo secondo Mattei (2016), di Antonio Andrisani e Pascal Zullino (nella foto). Qui Bucci interpreta un’ormai anziana ex comparsa del Vangelo pasoliniano, reclutata da un disincantato regista per girare un improbabile docu-film di denuncia sulle estrazioni petrolifere in Basilicata.

Con quest’ultimo ruolo, Bucci dà prova, una volta di più, della straordinaria versatilità e della ricchezza espressiva (ed espressionista) di una maschera che ha saputo cogliere le diverse sfaccettature della medesima tragicommedia: quella della (nostra) società, e della vita stessa.