Alla ricerca del dubbio perduto. “Una storia nera” è il nuovo titolo del cinema dei grigi

“Una storia nera” arriva in sala per 01 distribution dal 16 maggio. L’opera seconda di Leonardo D’Agostini si ispira al romanzo omonimo di Antonella Lattanzi (Mondadori) e si colloca in un filone di successo, quello dei film sui processi, che più che gialli sembrano grigi. Ma del genere, però, non riesce a sfruttare le potenzialità…

I polizieschi un tempo erano gialli, poi i noir ne sono stati una variazione con più attenzione all’introspezione dei personaggi e al sociale, oggi invece siamo arrivati ai grigi. Intendiamo insomma che negli ultimi anni la passione per la soluzione ha lasciato il passo a quella per il dubbio irrisolto. E grigio lo è, nonostante il titolo, anche Una storia nera, ritorno alla regia di Leonardo D’Agostini nelle sale dal 16 maggio.

Questo dei grigi è davvero un filone strano, se indagato per bene potrebbe anche raccontarci qualcosa di interessante sul pubblico contemporaneo. Una platea che si è innamorata degli show true crime, ossia i racconti dei casi irrisolti e dei processi mediatici, e che solo qualche mese fa si è fatta sedurre di buon grado da Anatomia di una caduta di Justine Triet, forse il miglior film “giudiziario” degli ultimi anni.

Per D’Agostini l’ispirazione è il romanzo omonimo di Antonella Lattanzi (in libreria per Mondadori). Il tentativo della trama è sovvertire le aspettative: c’è sì un marito violento e una moglie vittima, ma a finire ucciso è lui. La domanda però, come dicevamo, non è “chi è stato?”, non servono più gli Holmes e i Poirot. È sul processo che ci si concentra, anzi proprio sul capo d’accusa.

Che a uccidere sia stata l’ex moglie viene scoperto immediatamente, infatti. Il pubblico ministero sostiene però ci sia stata premeditazione, l’imputata che sia stata legittima difesa. Il punto è che nel primo caso si finisce in carcere, nel secondo no. Dunque, come tipico nei nostri grigi, lo sguardo si posa ossessivamente sulla protagonista, che ha il volto eternamente corrucciato di Laetitia Casta.

D’Agostini in realtà scruta poco nei suoi protagonisti, non cerca le loro contraddizioni. Le difficoltà a cui vanno incontro ci sono, ma sembrano più menzionate che affrontate o approfondite. Anche la preminenza di Casta è costante ma non insistente, soprattutto non catalizza l’attenzione come dovrebbe, non ci assorbe nel legittimo dubbio che dovrebbe essere il cuore dei film da processo.

Così, anche la vicenda scivola via rapidamente, srotolandosi tra litigate familiari e colpi di scena solo moderatamente sorprendenti. Il gioco del film dovrebbe essere quello di capovolgere vittime e carnefici, i supposti buoni e i presunti cattivi, ma anche in questo perde forza per strada.

Per Una storia nera torna la collaborazione tra RaiCinema e Groenlandia di Matteo Rovere, com’era stato per il fortunato esordio di D’Agostini, Il campione. Di quel film ritorna anche il protagonista, Andrea Carpenzano, qui nei panni del primogenito, costretto a caricarsi sulle spalle la famiglia dopo la morte del padre e l’incarcerazione della madre.

Proprio al personaggio di Carpenzano è affidato il finale, in cui il film sembra dirci che quando una coppia si ritrova in guerra a farne le spese sono sempre i figli, usati come fossero pedine della lotta. È un altro dei temi cari ai grigi, ma non bisogna lasciarsi ingannare dal colore: perché riescano bene ci vuole emozione. Altrimenti resta poco e si fa presto a metterli in archivio.