Apple TV+, l’antagonista di Netflix (per ora) non esiste. Ma l’Europa pensi alla “biodiversità”
Alla fine la montagna partorì il topolino. L’atteso lancio – lunedì 25 marzo dal palco dello Steve Jobs Theater di Cupertino – di Apple TV+ non ha chiarito granché su cosa sarà realmente la piattaforma streaming, annunciata come la concorrente Netflix. Non una parola su dove sarà distribuita, sul mix tra contenuti originali e proposte prodotte da altri, se prevarranno i film o le trasmissioni di varietà. Di sicuro solo l’imprinting che sarà decisamente yankee, pur se democratico e progressista. Oggi dire grandi network significa quasi esclusivamente dire grandi network statunitensi. C’è un enorme rischio di omologazione planetaria. C’è un problema di biodiversità, forse più serio e urgente di quello delle piante da frutto …
Mi scuso della banalità che sto per dire, ma l’evento Apple del 25 marzo che avrebbe dovuto annunciare “il” rivale di Netflix si può riassumere in quattro immortali parole: tanto tuonò che piovve. Oppure, se a Socrate doveste preferire il più terreno Esopo, la montagna partorì il topolino.
Chi si aspettava, come il sottoscritto, una presentazione, enfatica certo come nello stile Apple ridondante di amazing, the best e via superlativando, ha assistito al contrario ad uno show un po’ abborracciato, dove è stato annunciato tutto e di più, dalla carta di credito Apple realizzata in collaborazione con Goldman Sachs, ad Apple News+, un’edicola digitale che proporrà moltissime testate importanti ma non, ad esempio, il New York Times.
Un’edicola che parla per ora americano, ma non l’inglese di Sua Maestà per il quale bisognerà attendere forse l’autunno. Per l’italiano, non trattenete il fiato: rischiereste di morire soffocati. Fino all’attesissimo Apple TV+, il presunto concorrente in streaming di Netflix et similia.
Non so se sia stata la cultura Apple della segretezza esasperata o semplicemente la mancanza di proposte concrete, ma non si è capito granché di cosa sarà questo Apple TV+: non una parola su dove sarà distribuito, quale sarà il mix tra contenuti originali e proposte prodotte da altri, se prevarranno i film o le trasmissioni di varietà. Di sicuro, anche qui, l’imprinting sarà decisamente yankee, pur se democratico e progressista.
Ce lo ha ricordato un’icona liberal della tv statunitense come Oprah Winfrey, la star nera dei talk show, che dopo aver per un po’ tiramollato su una sua candidatura alla presidenza USA, alla fine sembra aver scelto di restare in tv. Ieri sera dal palco dello Steve Jobs Theater di Cupertino ha fatto un bel discorso, emozionante, perfettamente calibrato ma un po’ troppo recitato, pieno di buone intenzioni tanto che Tim Cook, il poco carismatico successore di Jobs, alla fine l’ha abbracciata fingendo di tergersi una lacrima.
Un discorso perfetto per questi tempi di troll telecomandati da destra, un discorso dal quale sprizzavano gli anticorpi a una società egoista e misogina. La Winfrey ha detto che il suo show per Apple TV+ “è una missione e una visione per il bene comune”, una serie per “illuminare le coscienze e costruire una maggiore consapevolezza” perché “ognuno di noi viene al mondo con un grande potenziale”.
Bene, benissimo. Non sarò certo io, antico fan della Mela, a dolermene, ma certo mi preoccupo quando il kantiano imperativo categorico mi viene suggerito da una multinazionale, etica quanto si vuole ma il cui proprio riferimento guida è l’accumulo di denaro. E nessuno come Apple, che nei suoi forzieri sparsi per il mondo, ma soprattutto nei paradisi fiscali, ha oltre un centinaio di miliardi di dollari, sa come si fa.
Prima della Winfrey sul palco della Mela erano saliti Jennifer Aniston, Reese Witherspoon e Steve Carell per presentare un loro show satirico, The Morning Show, che vorrebbe essere una tv che fa il verso alla tv, una meta-tv dunque come ne conosciamo anche troppe. Speriamo sia meglio delle troppe minestre riscaldate che occupano il genere, qui e laggiù. Se la premessa è anche una promessa, non c’è molto da stare allegri.
Naturalmente a Cupertino c’era un’altra immancabile icona del cinema colto e liberal, Steven Spielberg. Era lì, come un santino, una madonna candelora beneaugurante, ma al pari del terzo segreto di Fatima, si è ben guardato da svelare i suoi piani. Forse ancora non ne ha.
Mentre ascoltavo tutti i non progetti per una futura tv globale ma molto americano-centrica riflettevo come la scomparsa delle reti nazionali soppiantate da questi Behemoth universali segnali un enorme rischio di omologazione planetaria alimentata dalle enormi fortune accumulate dai grandi network che oggi sfruttano la rete e dunque possono giungere ovunque senza che autorità regolatorie nazionali possano fare granché.
Oggi dire grandi network significa quasi esclusivamente dire grandi network statunitensi. La presentazione di ieri sera è, stata in questo senso paradigmatica: parlava al mondo ma parlava con le sue icone senza porsi il problema se quelli che stavano seguendo sapessero o meno di chi si trattasse. Se l’Europa non fosse troppo preoccupata dai negher di Salvini o dai fantasmi della Brexit, forse capirebbe che bisogna reagire. C’è un problema di biodiversità, forse più serio e urgente di quello delle piante da frutto.
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