Aquaman, i perché del successo dell’eroe anfibio. Il più riuscito di casa DC
Trecento milioni ai botteghini Usa per “Aquaman”, il nuovo cinecomic di casa DC interpretato da Jason Momoa per la regia imponente di James Wan. Ambientalista e pacifista il film è come un ottovolante lanciato a velocità impossibile, un concentrato di colpi di scena che inchiodano. Insomma, è il prodotto DC per grande schermo più riuscito dai tempi de Il cavaliere Oscuro…
Non è uno un sottomarino, non è uno squalo, è Aquaman! LA DC cala il suo asso, tiene il passo della Marvel e tenta il sorpasso nella produzioni di blockbuster iconici.
Si chiama Arthur, è di sangue reale ma vive lontano dalla Corte e per essere incoronato deve superare una prova. Deve riuscire ad impugnare un’ arma che ha poteri illimitati ma che riconosce colui che per purezza, coraggio, statura morale ne può essere degno.
Non è il plot di quella che è la saga d’armi e d’amori più celebre d’ogni tempo ma l’innesco di Aquaman, che dopo il team up con Justice League, agisce in solitaria attraverso i sette mari per portare a termine la sua missione e con quella scongiurare un conflitto su scala planetaria tra il mondo di superficie e quello degli abissi.
Dopo un prologo che ne rivela le origini, il film riparte dai fatti narrati in Justice League. Il supereroe anfibio s’è rivelato al mondo che s’interroga su chi e cosa sia esattamente. E deve vedersela con un bel mucchio di avversari che comprendono il pirata Black Manta, potenziato dalla tecnologia atlantidea e animato da un’implacabile sete di vendetta e soprattutto il suo fratello minore da parte di madre, Re Orm, che medita di scatenare gli oceani contro gli umani colpevoli di aver avvelenato le acque e di averne modificato la temperatura in modo irreparabile e criminale.
Questo aspetto, il conflitto tra consanguinei è l’altro elemento che inevitabilmente rimanda al mito. Caino e Abele, Romolo e Remo e in particolare, come vedremo, Thor e Loki. Più che di omaggi più o meno espliciti – il padre accenna proprio ad Artù – la pellicola è un campionario di meta-narrativa.
Artù contro Morded, figlio e nipote, procreato dall’incestuosa unione con Morgana si combina al ciclo cinematografico di Thor, del quale Aquaman si propone di essere la risposta DC. Non va dimenticato che Excalibur, che ha un legame anch’essa con l’elemento acqueo essendo donata all’eroe celtico dalla dama del Lago (esistono alemeno due differenti narrazioni legate al mito di Excalibur), non è la sola arma che va guadagnata con la purezza d’animo, l’altra è Mjolnir, il devastante martello del Dio del tuono, a cui contrappore il tridente perduto del primo re atlantideo forgiato col metallo di Poseidone.
Aquaman è insomma sul piano della caratterizzazione, sovrapponibile. Guascone e sbruffone, ma coraggioso e nobile. In conflitto, seppure con ribaltamento di ruoli e motivazioni col fratellastro, come il Tonante lo è con Loki. Simili persino nei poteri, entrambi controllano gli elementi.
Nelle dinamiche è effettivamente un Thor subacqueo ma sul piano strutturale ne prende provvidenzialmente le distanze. Aquaman è un film. Non un preteso. Un concentrato di colpi di scena che inchiodano. Sostenuti da una scrittura solida che seppure si concede un paio di scivolate sul trash – e ritorniamo a Thor – non ha crepe.
Una fotografia notevole, evocatica, a tratti poetica. La regia è imponente. Ampi spazi orizzontali in campi apertissimi che esaltano le meraviglie sommerse ma non solo quelle, si pensi alle scene in Sicilia e nel deserto del Sahara, e persino il vezzo di ben due piani sequenza che consegnano alla storia del cinema d’azione una delle scene d’inseguimento più funamboliche e adrenalitiche che si siano mai vste.
Il film è un ottovolante lanciato a velocità impossibile in cui lo specialista, James Wan, miscela risse colossali e spunti di sana riflessione, sull’ambiente e sull’insensatezza della guerra. Aquaman s’attesta non tanto come campione d’incassi ma soprattutto per essere il prodotto DC per grande schermo più riuscito dai tempi de Il cavaliere Oscuro.
Opera d’intratenimento sincera che pur non volendo andare oltre la sua funzione, non è inferiore quanto a dialoghi e trama alla trilogia di Nolan ed è meno banale di Justice League o degli Ant Man e Guardiani della Galassia sul fronte Marvel. Tra le tematiche meglio trattate troviamo inaspettatamente l’amore, attraverso l’incontro fatale tra Atlanna, regina di Atlantide e il guardiano del faro Thomas Curry – delizioso il momento delle presentazioni – nell’accezione, comunque ben calibrata, più favolistica e romantica possibile.
Il cast è un ensemble di facce da cinecomics. Jason Momoa, Aquaman, viene dall’iconico Trono di spade televisivo e dal dimenticabile Conan the barbarian, Amber Heard è apparsa come Mera nel precedente Justice League; il peso massimo Willem Dafoe (Vulko) è stato un grandioso Norman Osborne – Goblin nel superlativo Spider-Man di Sam Raimi. Dolph Lundgren (King Nereus), rivitalizzato da I mercenari di Stallone vanta la trasposizione di He Man e soprattutto la più convincente tra gli adattamenti di The Punisher, Nicole Kidman (Atlanna) è apparsa in Batman Forever nel ruolo di Chase Meridian ed infine Patrick Wilson (Orm), già Gufo Notturno, nel Watchmen di Zac Snyder, eroe-copia seppure d’autore del Nottolone della Marvel a sua volta più che debitore di Batman, e successivamente villain nella trasposizione cinematografica di The loosers della DC Vertigo.
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