Arriva il David Copperfield 2.0. Multietnico ma non “multi-comico”: Dickens fa ridere di più

In sala dal 16 ottobre (per Lucky Red), “La vita straordinaria di David Copperfield” rilettura dickensiana firmata dallo scozzese (di origini italiane) Armando Iannucci (suo il brillante “Morto Stalin se ne fa un altro“). L’originalità è nell’aver scelto la chiave comica che del resto è la cifra stilistica di Charles Dickens, folgorante nel cogliere la comicità dei caratteri. Il film, molto “progressive” nel mettere insieme tutte le etnie colonizzate dall’Impero britannico a cominciare da David indiano (Dev Patel), non mantiene però le promesse …

Chi lo conosce bene lo sa: Charles Dickens fa ridere, tanto. Tra le sue molte virtù c’è una capacità folgorante di cogliere il lato comico delle persone, anche nelle circostanze meno propizie. Lo dico per chi  ha passato la vita a scansarlo per tema di mallopponi lagnosi.

La buona notizia è che Armando Iannucci, regista scozzese di famiglia italiana, ha scelto per La vita straordinaria di David Copperfield  (in sala dal  16 ottobre) la chiave comica che dagli adattamenti dickensiani per lo schermo finora non era mai trapelata. La cattiva notizia è che il risultato promette e non mantiene: non si ride, purtroppo. Doveva essere la chicca natalizia di Lucky Red, ma i contraccolpi da Covid sulla distribuzione hanno anticipato l’uscita.

L’operazione è colta e il cast di assoluta eccellenza: Dev Patel (il protagonista di The Millionnaire, un David indiano!), Tilda Swinton (zia Betsey Trotwood), Hugh Dr.House Laurie (Mr. Dick), il Ben Whishaw di Profumo (Uriah Heep), insieme al meglio dei caratteristi UK. Ed è curioso il melting pot che spariglia le carte. Nei ruoli chiave ritrovi tutte le etnie colonizzate dall’Impero britannico dell’epoca d’oro, in bizzarro frullato: padre cinese con figlia caraibica, madre africana con figlio bianco, e via sovvertendo. Molto progressive.

Condensare in due ore 600 pagine di peripezie è ovviamente impossibile. Perdoneresti però omissioni, cortocircuiti e lacune (David si smarca tra l’altro, nel film, dallo sciagurato matrimonio con Dora) se la passione del regista per “le scene spassose del romanzo” (parole sue) trovasse conferma.

Dickens fa ridere per l’umorismo feroce con cui disegna i suoi freaks, non a caso promossi storicamente a emblemi dei vizi capitali. Il suo Ebenezer Scrooge, per dire, sinonimo di avarizia, ha fornito a zio Paperone il suo nome inglese. Tra le figure che popolano le pagine di David Copperfield, l’ipocrita Uriah Heep è descritto come un prototipo del viscido Gollum di Tolkien, la metallica Jane Murdstone è una virago da fumetto, esilaranti bozzetti come Miss Mowcher, parrucchiera dei Vip (che non compare nella “galleria” di Iannucci), sono indelebili.

I villain del film viceversa sono persone normali. Sgradevoli, antipatiche, ma di aspetto ordinario. Perdi il risvolto grottesco e ti accontenti di qualche incursione nella slapstick comedy e di occasionali inserti surreali. La penna di Dickens, intrisa di immaginario gotico, richiederebbe una postproduzione che non si limiti a “sceneggiare” la  “cotta” di David per Dora, quando proietta il suo volto perfino tra le nuvole in cielo.

Iannucci è un dickensiano militante. Per la BBC ha firmato una personale rilettura dello scrittore “senza l’austera gravità vittoriana”, Armando’s Tale of Charles Dickens. È un umorista e un politologo competente. Il suo Morto Stalin se ne fa un altro era decisamente brillante. Per In The Loop ha avuto una nomination all’Oscar.

Ma nella furia di sbarazzarsi degli eventi “seriosi’” le pagine migliori del romanzo (il più autobiografico, non il migliore di Dickens), la fame vera, le prime sevizie scolastiche, lo sfruttamento del lavoro minorile, quel primo sguardo infantile sul mondo che irretisce il lettore, tutto passa in cavalleria.

Scene e costumi sono una gioia per gli occhi. Suggerire una rilettura “leggera” dei capolavori dickensiani è già meritorio. Per l’ironia, è consigliabile bussare alla fonte.

fonte Huffington Post