Arthur Miller nella Teheran della speculazione edilizia

In sala dal 5 gennaio (per Lucky Red) “Il cliente” nuovo folgorante film di Asghar Farhadi, premiato a Cannes e in corsa per l’Oscar come miglior film straniero.  Rilettura molto personale di “Morte di un commesso viaggiatore”, lucida analisi della società iraniana tra capitalismo selvaggio e oppressione religiosa…

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Il riferimento ad Arthur Miller è già nel titolo, almeno a stare a quello inglese, The Salesman. Ma al posto dell’America capitalista e aggressiva dei Cinquanta, narrata in Morte di un commesso viaggiatore, c’è l’Iran di oggi che quella strada l’ha appena cominciata, sotto i colpi della speculazione edilizia che sta cambiando freneticamente il volto alle città, insieme ai costumi e alla vita degli iraniani e di cui le prime vittime sono sempre i lavoratori e i più poveri.

Cannes, in chiusura, dopo un concorso altalenante e deludente, ha finalmente trovato la Palma d’oro. E se non sarà quella della giuria capitanata da George Miller, sicuramente è la nostra.

Asghar Farhadi, l’oscarizzato autore di Una separazione, torna sulla Croisette con un film magnifico, perfetto, il suo più politico, in cui porta a maturazione la sua poetica del reale, la narrazione dei violenti conflitti di classe in Iran, attraverso la fascinazione per il “thriller sociale”, indagato fin dai tempi di Abaut Elly (Orso d’argento alla Berlinale 2009) che lo impose alle platee internazionali.

Siamo a Teheran dove una coppia di giovani attori amatoriali, in scena con Morte di un commesso viaggiatore, sono costretti a lasciare il loro appartamento: le ruspe degli speculatori immobiliari hanno lesionato irrimediabilmente il palazzo. Cercando un nuovo alloggio finiscono, a loro insaputa, in quello appena abbandonato da una prostituta. La donna è andata via senza lasciare traccia, ma soltanto una stanza chiusa a chiave zeppa di effetti personali che a poco a poco sveleranno dettagli della sua vita.

È qui che una sera Rada, la giovane moglie, lasciando aperta la porta di casa credendo che il marito stia rientrando, viene aggredita da uno sconosciuto. La violenza subita dalla donna sarà il detonatore che farà esplodere i conflitti interni alla coppia, specchio della violenza ancora più brutale che avvolge la sociatà iraniana, oppressa dalla censura (parola che risuona per la prima volta in un film iraniano), dall’integralismo religioso, dal capitalismo selvaggio e dai “codici d’onore”, di cui sono sempre le donne a pagare il prezzo più alto.

Uno svelamento che, come sempre nel cinema di Farhadi, avviene attraverso impercettibili dettagli, suspense emotive, sguardi, silenzi, gesti quotidiani che dall’individuale scivolano nell’universale, trarsformandosi in essenziali e folgoranti parabole sull’agire umano. “Come può un uomo trasformarsi in animale”, chiedono all’inizio del film gli studenti di Emad, il marito di Rada, che insegna in un liceo maschile. “È un processo graduale – risponde – avviene poco a poco”, mettendo sull’avviso lo spettatore.

Lui, intellettuale, amante dei libri e del teatro che insieme a sua moglie, ogni sera, calca le scene con la pièce di Arthur Miller, “animale” brutale lo diventerà, infatti,  inseguendo la “vendetta” nei confronti dell’aggressore di Rada che scoprirà al termine delle sue ossessive indagini. Una vendetta tragica, ancora una volta giocata sullo scontro tra classi sociali, che troverà il suo apice nell’umiliazione di questo “commesso viaggiatore”, vecchio e proletario, fragile nelle sue debolezze umane e nella sua povertà.

Con Shahab Hosseini, Taraneh Alidoosti e Babak Karimi, magnifici interpreti, The Salesman è un vero coup de coeur. Che infatti ha colpito al cuore anche i giurati. Doppio premio: per la sceneggiatura e per l’interpretazione maschile a Shahab Hosseini.