Attraverso la storia del ‘900 con gli occhi di un testimone raro. “Tiziano Terzani, il viaggio di una vita” è doc

In sala l’11,12 e 13 settembre (per Wanted cinema) “Tiziano Terzani, il viaggio della vita” ritratto del grande giornalista di Mario Zanot, in occasione di quello che sarebbe stato l’ottantacinquesimo compleanno di Terzani, il 14 settembre. Una biografia completa, attraverso tutte le tappe della sua vita. Dal Sud Africa dell’Apartheidun alla Cambogia e tutto l’Oriente percorso in bus, treno, a piedi. Un viaggio nella storia vicina e lontana della seconda metà del Novecento attraverso gli occhi di un testimone raro…

Mario Zanot aveva già fatto un documentario di grande successo su Tiziano Terzani, aveva ottenuto l’ultima intervista quando il grande giornalista, già gravemente malato, si era ritirato nella sua casa in Toscana.

Anam, il senzanome è stato un po’ il testamento di Terzani, uno dei pochissimi giornalisti italiani di fama internazionale che nell’ultima parte della sua vita è diventato testimone di pace. Ora in occasione di quello che sarebbe stato l’ottantacinquesimo compleanno di Terzani, il 14 settembre, è uscito nelle sale un altro film di Mario Zanot, Tiziano Terzani, il viaggio della vita. Un documento altrettanto intenso e ricco, un lavoro durato due anni, distribuito dalla Wanted cinema.

È una biografia completa, un documentario che ripercorre, grazie ad alcune registrazioni inedite, ai filmati di famiglia, a materiale d’archivio e a belle animazioni tutte le tappe della vita di Terzani. Un viaggio nella storia vicina e lontana della seconda metà del Novecento attraverso gli occhi di un testimone raro.

Si parte dall’infanzia, dalle prime prove di giornalismo sulla vespa del padre, agli studi, l’impiego all’Olivetti Il primo straordinario reportage dal Sud Africa dell’Apartheid. Terzani racconta in prima persona la passione politica e le cantonate prese con un’onestà che lo rende ancora più grande.

C’è un’immagine straordinaria, è una fotografia di lui in Cambogia che porta sulle spalle una donna moribonda. Aveva attraversato il paese per documentare lo sterminio messo in atto dai rivoluzionari in cui aveva un tempo creduto. Quando in un campo di rieducazione/mattatoio, trova alcune donne moribonde lascia il taccuino e la macchina fotografica e le porta in salvo a piedi fino al confine, una dopo l’altra. Dipinta sulla sua faccia mentre si avvicina al campo di Médecins Sans Frontières c’è un’allegria, una soddisfazione che rendono bene il senso del suo modo di fare giornalismo.

I vietcong, per i quali durante la guerra aveva avuto simpatie, lo sequestrano, lo accusano di essere una spia lo tormentano di botte e stanno per giustiziarlo, si salva all’ultimo sventolando il suo passaporto italiano. Gli anni delle disillusioni non sono finiti: va in Cina dove crede di trovare un paese in marcia su una strada diversa rispetto al vorace capitalismo occidentale, ma quello che vede invece è una rete di spie e delatori infernale. Scrive quello che vede e finisce in carcere, prima di essere cacciato dal paese.

Continua a viaggiare, soprattutto in Oriente. È una profezia di morte a regalargli il suo successo più grande. Per un anno, evita gli aerei, percorre 40 mila chilometri in Asia viaggiando in bus, in treno, a piedi. Le sue scoperte finiranno nel libro più conosciuto Un indovino mi disse.

Dopo aver raccontato una vita eccezionale, quando è ormai gravemente malato lascia un messaggio d’ottimismo: “Alla fine una delle cose a cui tengo moltissimo è che venga fuori che quello che ho fatto io non è unico, me lo sono inventato, ma chiunque se lo può inventare in un modo o in un altro. Perché voglio che i giovani, voglio che la gente non si senta scoraggiata, al contrario, ci vuole determinazione, ci vuole fantasia, ma c’è questa possibilità. Non è che le porte sono chiuse, che il mondo è già tutto sprangato, che i posti sono già presi dagli altri. Ma per nulla…”