Facendo le scale con Patrizia Cavalli per non far morire il cuore. Il doc-omaggio arriva in sala

In sala dal 14 settembre (per Fandango) “Le mie poesie non cambieranno il mondo” di Annalena Benini e Francesco Piccolo. Un omaggio-ricordo di Patrizia Cavalli, straordinaria poeta scomparsa lo scorso anno. Racconto ricco di spunti non solo per chi ha amato e condiviso la pungente intelligenza della sua poetica scrittura tragicomica, ma anche per presentarla col suo diretto aiuto e la sua ironia a chi quello che ha scritto non ha mai letto. Presentato alle Notti Veneziane delle Giornate degli Autori, in accordo con Isola Edipo …

Patrizia Cavalli in una immagine del film

 

Un titolo – rubato a quello del suo primo libro, che è parte e frutto di un incontro. Probabilmente il più importante per il futuro poetico di Patrizia Cavalli, quello con Elsa Morante – per raccontare in questo documentario ordito e condotto dai due amici Annalena Benini e Francesco Piccolo, la storia, il carattere, la produzione di un’artista della penna e non solo che si chiude con Vita meravigliosa, ultimo libro edito da Einaudi nel 2020, due anni prima del giorno, il 21 giugno del 2022, della fine della sua vita, mentre il film su di lei era in post produzione.

Racconto ricco di spunti non solo per chi ha amato e condiviso la pungente intelligenza della sua poetica scrittura tragicomica, ma anche per presentarla col suo diretto aiuto e la sua ironia a chi quello che ha scritto non ha mai letto.
Oltre ai filmati di interviste d’epoca, alle sue letture, che ha sempre amato fare, delle sue poesie, alle partecipazioni musicali, siamo nel suo salotto dove si muove, siede e risponde, con la sua bella testa esposta ormai senza più chioma, alle domande morbide dei due amici.
Ed ecco qualche piccolo stralcio di quello che ci ha raccontato.

“Da adolescente ero una delinquente, un genio della morra. Mi facevo portare dai camionisti e li sfidavo. Vincevo sempre. E loro mi riportavano a casa senza che mai nessuno mi abbia molestato, né a me è mai passato per la mente che potessero farlo. Non ero neanche un po’ studiosa. Solo fumetti, soprattutto Tex Willer. A un certo punto mi è capitato di leggere Amleto e mi son detta: però. Sono partita da lì. Ma i libri di Elsa Morante li ho amati molto e sognavo di incontrarla”.

Siamo nel 1968 a Roma dove è arrivata da Todi per studiare filosofia con un solo amico: un ballerino omosessuale. “Epoca in cui ho perso un sacco di tempo, non studiavo: sembrava fosse una colpa non occuparsi di Politica”.
L’amico ballerino le apre incontri con artisti e intellettuali e un giorno riesce a incontrare anche Elsa Morante. “Tu cosa fai?” le chiede la scrittrice. Risponde: scrivo poesie. “Fammele leggere. Mi dice con sguardo omicida. In verità io ne scrivevo, ma orribili. Le ho chiesto la ragione della sua richiesta e la risposta è stata questa: voglio vedere come sei. Io ci ho messo sei mesi per portarle 12 piccole poesie, dei falsi veri o viceversa. E lei mi ha detto: sono felice sei una poeta. E ha reso me molto felice: delle poesie non mi importava niente, ma ormai non temevo più di essere espulsa da lei. Diventare una poeta è stato dunque un privilegio”.

Scritte, lette o cantate le poesie della Cavalli sono tutte d’amore. “Io non ho avuto mai amori felici. Mi sono sempre innamorata di persone impossibili: a quindici anni, molto ingenua, di una donna bellissima molto più grande di me. E sono sempre stata gelosissima. Anche se poi mi sono resa conto che le persone che ho amato mi hanno anche molto amata. E con tutte non mi sono mai dichiarata, ho sempre aspettato quel magico momento del reciproco incontro”.

E nel film la vediamo in un cordiale battibecco con Diana storica dell’arte inglese che per moltissimi anni è stata la sua compagna.
“ Scrivere per me è un moto istintivo che non so da dove mi viene, non l’ho mai fatto per comunicare”.
Quanto al poker, la sua passione post morra, ecco che cosa ci racconta. “Ci ho giocato moltissimo, mi sono rovinata la salute e ho perso molto di più di quanto mi potevo permettere, poi per fortuna è subentrato il disgusto, fondamentale patologia per la sopravvivenza. Ma il problema era questo: mi è sempre piaciuto il denaro vinto o regalato, mai quello guadagnato lavorando”.

Deliziose le sue poesie, che in qualche modo ricordano Gaber, sui cappotti con tasche troppo basse che ti tirano giù, verso la malinconia. O quella sul fare le scale per salvare il cuore che le sentiamo cantare perché “solo facendo niente ho il mio domani e mi rianimo cantando”.

Avendo più o meno l’età da lei raggiunta, mi permetto però un appunto alla regia: non avrei insistito sulla sua fragilità di donna anziana e malata, con tutto quello che purtroppo l’età comporta. Bastava un accenno.
Il film prodotto da Fandango con Rai documentari, dopo Venezia alle Giornate degli autori, si vedrà il 14 settembre.