Bambini sfamati a morte

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Non passerà indenne alle polemiche Hungry Hearts di Saverio Costanzo, secondo dei tre italiani in corsa per il Leone d’oro. E magari serviranno pure a fare pubblicità, come sempre accade in questi casi, ad un film che raccontando le derive integraliste di una mamma vegana, rischia a sua volta di sostenere gli opposti estremismi dei fedelissimi di MacDonald. Tratto dal Bambino indaco di Marco Franzoso, il film ci racconta la storia di una giovane coppia che vive a New York. Lei (Alba Rohrwacher) un’italiana che lavora per l’ambasciata, lui (Adam Driver) un ingegnere dal rapporto conflittuale con la madre (Roberta Maxwell). I due s’incontrano per caso nel bagno di un ristorante cinese, s’innamorano a prima vista, vanno a vivere insieme, lei resta incinta, si sposano. Ma quando il bambino nasce cominciano le difficoltà. La madre è convinta che il suo sia un “bambino indaco”, una sorta di prescelto che deve preservare da ogni impurità. A cominciare dal cibo a chilometro zero, ovviamente, che coltiva nel suo orticello sul tetto del palazzo, ignara evidentemente dell’inquinamento newyorkese. Solo verdure e niente derivati animali, per carità, nel rispetto ferreo della fede vegana. Così il piccolo non cresce e a poco a poco il marito si accorge che la scelta di vita “bio” di sua moglie sta portando il pargolo al camposanto. Di nascosto dall’ossessiva consorte cerca aiuto dai pediatri che consigliano omogeneizzati di carne, ma lei trova l’antidoto in un certo olio che impedisce l’assorbimento del cibo. Al poveruomo non resta che rapire il bimbo e rifugiarsi da sua madre che farà precipitare la storia nella tragedia. Lasciando lo spettatore completamente interdetto, nonostante la ricerca stilistica del linguaggio, elegante e “sgranato” così insolito per il cinema italiano.