Bollettieri, il Re Lear del tennis. E i suoi tre figli in armi sui campi rossi (in un doc)
È “Love Means Zero” riuscito documentario dell’ebreo newyorkese Jason Kohn, passato in concorso alla Festa di Roma. La vita di Nick Bollettieri, leggendario allenatore di tennis. Tra i suoi“figli” più dotati: Andre Agassi, Jim Courier e Boris Becker, “condannati” a darsi battaglia tra loro sui campi rossi. Agassi, in particolare assente nel doc, non gli ha risparmiato il suo rancore raccontandolo in un libro autobiografico….
Non si può dire che il punto di riferimento cinematografico sia da poco: Ran di Akira Kurosawa (che, a sua volta, aveva attinto al Re Lear di Shakespeare), storia di un monarca che spartisce il regno tra i suoi tre figli che si combattono l’un l’altro con scene di battaglia mozzafiato riservando anche al babbo un trattamento assai ingrato.
Il Re, in Love Means Zero, riuscito documentario dell’ebreo newyorkese Jason Kohn, proposto alla Festa del cinema di Roma, è Nick Bollettieri, figlio di un immigrato italiano, che è diventato famoso in tutto il mondo per la forza e il talento con cui è riuscito ad allevare e sfornare straordinari campioni di tennis. E i campi rossi, non di sangue, ma di sudore e rabbia, ospiteranno le tre battaglie, tra loro appunto, dei suoi tre “figli” più dotati: Andre Agassi, Jim Courier e Boris Becker.
Il primo, sicuramente il più amato, l’unico che si è rifiutato di partecipare a questo documentario, già non gli aveva risparmiato il suo rancore e dolore raccontando in Open – libro autobiografico che Agassi ha scritto con l’aiuto del premio Pulizer J.R. Moehringer edito in italia nel 2011 da Einaudi – il suo rapporto conflittuale d’amore e odio per il suo coach e vice padre (che per altro anche lui ha pubblicato di recente una sua autobiografia Cambiare gioco edito in Italia da Mondadori).
Conflitto che non ha risparmiato neanche le sue giovanissime ambiziose aspiranti campionesse, perché nulla fa meglio emergere la reciproca rabbia quando l’ambiente è competitivo al massimo e soprattutto quando la posta non è solo il successo, ma il desiderio di apprezzamento esclusivo e prioritario del proprio “genitore”, anche se non biologico.
Intervistato dal regista fuori campo, il vecchio Nick, che è arrivato alla non tenera età di 86 anni, siede all’aperto su una poltroncina in legno con gambe accavallate, maglietta rosa e pantaloni corti.
Sullo sfondo, il panorama del suo Impero devastato: gli infiniti campi da tennis della sua Academy finita in bancarotta.
È stato il “carcere”, fucina di tanti talenti fondato in Florida nel ’78, da questa sorta di tiranno, professionista dall’ego smisurato con una sola fissazione: essere un vincente tra i vincenti. Perché solo un vincente ottiene rispetto, ci comunica.
E dunque lui per questo è sempre andato avanti, rimuovendo, senza guardarsi mai indietro, senza ripensamenti o rimpianti per aver immolato la sua vita alla Vittoria, spazzando via i suoi sentimenti e quelli degli altri (a parte i “figli di tennis”, ha alle spalle ben otto matrimoni e sette figli).
Anche se riconosce di aver commesso alcuni errori nella vita, ha certezze granitiche che solo leggendo una lettera al prediletto Agassi, prima rockstar del tennis e autentico ribelle, riescono a incrinarsi: balbetta e versa vere lacrime.
Come durante una seduta dall’analista.
Non sta sul lettino, ma da subito l’intervista – che in questo documentario è felicemente alternata a immagini di repertorio della vera vita dell’allenatore, alle interviste di molti dei suoi campioni e campionesse e da indimenticabili incontri nelle gare più prestigiose del mondo – ti da l’idea di assistere ad una psicoterapia.
Del resto che la mente sia l’elemento più importante, anche più del talento, per ottenere una vittoria Nick Bollettieri, guru del tennis che delle sole tecniche di questo sport sapeva poco, lo sa da sempre.
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