Caro Bellocchio le scrivo. A proposito di “Rapito” stuprato in una multisala di Milano
Caro Marco Bellocchio
Decido, di passaggio a Milano, dove da anni non risiedo più, di rivedere il Suo perfetto Rapito visto a Roma soltanto 5 giorni prima mentre affrontava il pubblico di Cannes.
È sabato e finisco, per problemi di orario, a due passi dal Duomo in un ex Teatro: l’Odeon, trasformato in mangereccia multisala ex Berlusconi&Benetton di nome The Space cinema, dove, già mentre compri il tuo ingresso, il bigliettaio ti può fornire all’istante di una dose glicemica che può aiutarti a sviluppare un diabete precocissimo e dunque trasformarti anche in cliente delle cliniche private di proprietà probabilmente dei proprietari o ex delle multisale.
Parecchio allergica, quando mi capita di andare al cinema, a chi mastica pop corn o fa ruttini previsti da chi tracanna coca cola durante la proiezione, salgo i tre piani per raggiungere la sala 6. Sbircio furtiva i diradati presenti, a dire il vero assai pochi, e un po’ mi tranquillizzo, anche se vedo tutti ancora armati di cellulari luminosi.
Sono le 19:45 ora d’inizio del film. Che prende il via dopo implacabili 20 minuti di ultrasuoni promozionali per futuri non udenti, di altri film che nulla hanno a che vedere con quello che tu hai scelto di vedere.
Col nostro udito lesionato finalmente prende il via Rapito.
Uno dei forse 15 presenti, due o tre file davanti, continua a ciattare, ma tengo a freno il mio istinto di fargli un urlo contro.
Rapito plana finalmente in tutta la sua bellezza di contenuti, suoni, immagini. E ci entri dentro con il grande piacere che potrebbe darti un drammatico romanzo di un grande scrittore dell’Ottocento.
Poi, forse a metà del racconto, in un momento di cruciale importanza, quando l’attonito e disperato Mommolo, il babbo ebreo del rapito, approda al Ghetto di Roma per chiedere aiuto al capo degli ebrei romani, mentre i due parlano: Stop, fermi tutti.
Primo ingenuo pensiero: si sarà rotta la pellicola, ci sarà stato un incidente.
Neanche per sogno: pausa obbligata di 10 minuti per comprare pop corn bevande colorate o triangolini salatissimi, ottimi per colesterolo, ci suggerisce in alternanza l’immagine monstre che scorre sullo schermo.
Sicuramente è mia la colpa. Sono entrata in quella sala senza dovuta informazione. Senza sapere che sarei capitata nel meccanismo tv con cui i film vengono tagliuzzati a fette, farciti con detersivi, cibi, pannoloni e dentiere.
Né posso dire di essere contraria all’esistenza di pop corn, dolciumi o altro, sono però contraria a questo tipo di stupro di un’opera.
E mi domando che ragione c’è di distribuire in questo tipo di mutisale iper commerciali un film del genere.
Lo chiedo al suo distributore, e soprattutto a Lei caro Marco Bellocchio. Sono convinta, forse ingenuamente, che avere queste notizie di violenza sul suo perfetto lavoro, possa dispiacerle molto di più del fatto che il suo Rapito, così applaudito a Cannes, non sia tornato a casa con la Palma d’Oro.
21 Gennaio 2017
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