Una “Scintilla” tra le partigiane romane

Gli assalti ai forni, il rifugio offerto agli antifascisti a costo della vita. La storia povera e dimessa, scritta dalle donne nella resistenza romana, nel libro di Franca Raponi “Scintilla”. Cecilia Mangini lo suggerisce per “un instant movie teso a verificare se per i ragazzi di oggi dire NO AL FASCISMO sia privo di significato, o come la Fenice che risorge dalle ceneri abbia una attualità perenne”. Ma lancia anche un appello per rieditare questo libro ormai esaurito. Si può aderire scrivendo a francaraponiulisse@gmail.com…

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Per i tanti anni accumulati mi succede che leggere significa avere un libro tra le mani, sentire il fruscio leggero dei fogli che si voltano, districarsi tra la prefazione, la postfazione e la presentazione, in una parola sentire la dirompente fisicità del libro, la sua tridimensionalità timida e arrogante, la grafica modaiola della copertina.

Invece quando leggo on line c’è il clik clik click monotono del mouse, la banda è troppo scorrevole o pigrissima, mi manca l’odore della stampa, della colla, della stagionatura della carta … Basta, tanto non riesco a impietosirvi.

Mi è successo di aver ricevuto dall’amica mia Franca Raponi il testo on line del suo libro dal titolo Scintilla, nella resistenza romana, mutuato dal russo Iskra, lontanissima pubblicazione socialdemocratica che ha vantato Lenin tra i suoi collaboratori.

Il significato attuale di “Scintilla” è dare fuoco alle polveri esplosive della Resistenza. Leggerlo tutto on line non me la sento: forza e coraggio, per l’amicizia che mi lega a Franca mi limiterò all’assaggio mordi e fuggi dell’incipit. Mi tornano alla mente i testi sacri della storia, Una guerra civile di Claudio Pavone, Il voltagabbana di Davide Lajolo, La fine del fascismo di Paolo Spriano togliattiano Doc e perfino A cercar la bella morte di Carlo Mazzantini, repubblichino di Salò.

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Clik iniziale e scoperta pressoché immediata, Scintilla non è un testo sacro, è il racconto diretto della vita quotidiana dei comunisti che vivono nelle case popolari del quartiere di piazza Bologna e si oppongono al nazifascismo in quanto classe proletaria, spressione ormai archeologica eppure precisa come poche.

È Augusto Raponi, il papà di Franca, a organizzare la quinta zona clandestina del P.C.I. con un distinguo non da poco, le gesta accanite e quotidiane le compiono le donne partigiane.

Attenti a non farvi venire in mente Tina Anselmi portaordini e rivoltelle nel cestino della bicicletta: le donne a piazza Bologna accolgono in casa gli ebrei, gli antifascisti, i prigionieri inglesi fuggiti dai campi di concentramento: se scoperte, tanto basta per essere fucilate.

L’Italia è alle fame, gli artigiani e gli operai tirano avanti con uno sfilatino di pane nero da 150 grammi al giorno della tessera annonaria. Sono le donne partigiane a guidare le altre donne all’assalto ai forni, ma loro non arraffano un bel niente, si insediano alla cassa e controllano che nessuna rubi un solo centesimo, il mancato furto fa sì che le assicurazioni rimborsino i fornai.

Leggere Scintilla è incontrare la nouvelle histoire degli storici francesi, è la storia povera e dimessa, quella con le scarpe sfondate, le calze rammendate, le lenzuola con le pezze, è la mamma di Franca, è suo papà Augusto denutrito, tubercolotico, sfuggito per un pelo alle Fosse Ardeatine, premio della Resistenza.

Oggi Scintilla è esaurito e l’ANPI non ha un euro da investire. Eccomi al dunque: Bookciak diventerebbe meritorio lanciando un crowfunding, una raccolta fondi perché Scintilla sia rieditato, e non mi basta. Che queste mezze riflessioni mie servano perché Scintilla venga letto e discusso nelle scuole e diventi un instant movie teso a verificare se per ragazzi di oggi dire NO AL FASCISMO sia privo di significato, o come la Fenice che risorge dalle ceneri abbia una attualità perenne.