C’è un western nel sogno bambino di ogni regista. E Jacques Audiard c’è riuscito

In sala dal 2 maggio (per Universal Pictures International Italy)”The Sisters Brothers”, incursione nel western di Jacques Audiard, dall’omonimo romanzo di Patrick DeWitt (pubblicato da Neri Pozza). Cimentarsi col genere che ti riporta ai sogni di bambino, è una tentazione che prima o poi assale ogni regista. Ma pochissimi ci provano. Audiard ci ha provato e ha vinto la sua sfida. L’autore francese sarà ospite oggi (ore 18.15) nella sala di Nanni Moretti per una master class. Passato in concorso a Venezia …

I due bambini davanti alla mia panchina del Lido stanno giocando. Non sono neanche le otto di mattina. È strano che due bambini giochino a quest’ora. Stacco gli occhi dal mare e li osservo con attenzione. Giocano a un gioco che potrebbe essere una rivisitazione di nascondino o di guardie e ladri o di cowboy e indiani. Insomma si inseguono. Uno cattivo l’altro buono. O forse tutti e due cattivi. Gridano.

Uno dei due, biondo con gli occhi chiari, forse azzurri o verdi, ad un certo punto inizia a correre muovendo le ginocchia come se stesse cavalcando, emettendo un verso che nella sua immaginazione dovrebbe essere un nitrito. Ma l’altro si nasconde dietro una macchina e tira fuori all’improvviso un’immaginaria mitraglietta. E lo fa secco. Il bambino biondo cade a terra. Appena in tempo perché arriva il papà dei due, evidentemente fratelli. La colazione è pronta. I tre si avviano verso il camper in cui dormono.

Adesso mi rimane da guardare di nuovo solo il mare. Qualche minuto e poi mi avvio a vedere il film della mattina. The Sisters Brothers. Ci vado con l’idea in testa che prima o poi quasi tutti i registi vengano assaliti dalla tentazione di fare un film western. Pochi in realtà ci provano. Pochissimi vincono la sfida con se stessi di cimentarsi con un genere che li riporti ai propri sogni di infanzia o di adolescenza o di prima gioventù, a quel gioco bambino che ti fa uscire dalla proiezione con un passo da stivali, con uno sguardo quasi sempre truce, con una fiaschetta di whisky riposta accanto alla sella del cavallo parcheggiato accanto alle macchine fuori dal cinema, con una pistola nel cinturone, pronta a sparare, con la rapidità e la precisione che per qualche ora ti farà sentire il più veloce del west.

Jacques Audiard ci ha provato e ha vinto la sua sfida, anche grazie alla scelta di appoggiarsi ad Arrivano i Sisters, il romanzo di Patrick DeWitt che con la sua ironia a tratti neanche troppo sottile gioca sul genere e un po’ ne mette in discussione le regole, soprattutto quando tratteggia la figura di Eli Sisters, la voce narrante del romanzo, nel film magistralmente interpretato da John C. Reilly, che pur conservando le caratteristiche tipiche del cattivo e spietato killer, nello stesso tempo ne tira fuori gli aspetti più intimi che mettono a nudo la tenerezza e la semplicità del personaggio.

Il film, ambientato tra Oregon e California nel pieno della corsa all’oro, è una classica caccia all’uomo da parte di due killer al soldo di un ricco e potente signore nei confronti di un cercatore d’oro in possesso di tecniche sofisticate per arricchirsi più in fretta.

Audiard ha l’abilità di rimanere fedele ad uno schema consolidato, ma arricchendo la narrazione con momenti di leggerezza, a sprazzi di comicità, molto ben costruiti che rendono il film godibile e intrigante.

Me ne posso tornare sulla mia panchina. La giornata cinematografica inizia bene. Ho visto un film buono, non certo un capolavoro, ma di qualità a mio modesto parere alta. I due bambini adesso stanno giocando a pallone. E allora diciamo che il film è nella parte sinistra della mia classifica del concorso. Lo scudetto è ormai irraggiungibile, ma per un posto in Champions Audiard è in corsa. Ecco. È tutto. Adesso però, ho da fare. Due contro due, io e il bambino con i capelli biondi contro il padre e il fratello. Quattro bambini che giocano a calcio in mezzo alla strada. A due passi dal Cinema.