C’è una “ippopotama” nella storia della poesia. Il femminismo in 3D di Francesca Fini
Il 4 ottobre, nell’ambito di FUORINORMA, al Macro Asilo di Roma (ore 18 e 20), anteprima di “Hippopoetess”, l’ultimo film della videoartista Francesca Fini: storia in animazione sperimentale 3D di Amy Lowell, poetessa americana dell’Ottocento, punta del movimento imagista, scrittrice in un mondo di uomini (tra cui Ezra Pound). Tra Dante e Méliès, tra i videogiochi e Candy Crush, un lavoro surreale sull’immagine che prescinde dal messaggio. E denuncia la ferocia e il bullismo contro le donne. Ieri come oggi …
Una poetessa americana di fine Ottocento. Artista donna in un mondo di uomini, nel diciannovesimo secolo, quando la scrittura era pratica maschile: Amy Lowell (1874-1925), prima esponente e poi alla guida del movimento imagista, dopo l’abbandono di Ezra Pound. La sua figura è al centro di Hippopoetess, l’ultimo film dell’artista visuale Francesca Fini, realizzato per il Macro di Roma che sarà presentato il 4 ottobre nel programma di Fuorinorma, il festival dedicato al cinema neosperimentale italiano.
Hippopoetess è un’opera di animazione sperimentale 3D in 53 minuti che, spiega l’autrice, “racconta la storia della scrittrice e il suo desiderio di farcela in un mondo dominato dagli uomini”. A questa si alterna la vicenda personale di Francesca Fini, videoartista di oggi, che si sovrappone all’autrice di due secoli fa. Il titolo riprende proprio il soprannome della donna: non bella, in sovrappeso, così la chiamavano nella cerchia di scrittori che frequentava, mediamente indifferenti o maschilisti, segnata dal carattere dominante di Pound. Gli insulti feroci e reiterati, validi per Amy come per ogni donna, vengono ripetuti meccanicamente sullo schermo e dal passato sfociano nel presente, nel bullismo e nella misoginia, mettendo allo specchio il contemporaneo.

Francesca Fini costruisce questa dittatura dell’estetica in un registro felicemente sperimentale: spendendosi in prima persona dialoga apertamente con la scrittrice perché, nella lotta contro gli ostacoli e per l’affermazione di sé, anche la videoartista si riconosce. Ma è un dispositivo, questo, che non viene mai appesantito dal tema bensì declina la questione attraverso l’immagine: ecco allora Amy animata con un vestito a fiori, che mostra il corpo imperfetto, in costume in una paradossale vasca da bagno.
La regista mangia l’immagine di Amy sotto forma di sushi, “ingerendo” la poetessa per portarla dentro. Nel cromatismo sgargiante dell’impostazione retrofuturista, quindi, sentiamo i versi alternati alla voce, che ribadiscono il proprio essere e respingono le ferite del mondo intorno: “Sono sempre qui. Sono pelle dura che sfida la tempesta. Il dolore è una macchia sul vestito che puoi lavare via. Esiste solo se la vedono gli altri”.
Da Dante ai videogiochi, da Méliès a Candy Crush (Viaggio nella luna viene apertamente citato), l’invenzione è costante, lo stile sperimentale prescinde dal messaggio. L’incipit della Divina Commedia viene recitato alterato da un sintetizzatore vocale; si incontrano poeti noti e stralci delle loro poesie, tra cui quel William Carlos Williams di Paterson (il poema epico e il titolo del film di Jim Jarmusch) a cui si deve la dichiarazione teorica del movimento imagista: “Nessuna idea, se non nelle cose stesse”.
Amy Lowell gradualmente ottiene il suo spazio. Superando la pesante ipoteca di Pound, con il poeta che lascia la corrente e si trasferisce in Italia (“Per abbracciare il fascismo e bla bla bla”, dice ironicamente il film): la fine della censura poundiana consegna il movimento nelle mani di Lowell, che può finalmente spiegare le ali. “Le nostre voci si confondono, su un piano in cui la voce diventa atto creativo – spiega Francesca Fini – : la mia voce, rigorosamente in italiano per rispettare il suono del mio Dna, e quella della Lowell, restituita nel presente grazie all’interpretazione di un’attrice americana, si fondono e passano il testimone, in una sorellanza che sfida spazio e tempo”. E c’è anche una terza voce, assente ma presente: quella di Emily Dickison. A proposito di poeta donna nell’Ottocento, dopo Hippopoetess vedere a ruota A Quiet Passion di Terence Davies.
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