C’era una volta Tarantino. Le sue ossessioni ci sono sempre, ma le emozioni non più

L’attesissimo “C’era una volta a ... Hollywood” di Tarantino è una delusione. L’inizio è grandioso, sepolto però da 2 ore e 41 senza emozioni. Eppure non manca nessuna delle “magnifiche ossessioni” di sempre: le locandine dei B-movies su cui il regista è cresciuto, i drive-in e i neon vintage della Città degli angeli, i set degli studios gloriosi e le mitiche serie della tv in bianco e nero…

Rischio il linciaggio se dico che il film-evento più spasmodicamente atteso di Cannes, C’era una volta a … Hollywood di Quentin Tarantino, è una gran delusione?

Un quarto di secolo fa la Palma d’oro a Pulp Fiction è stata una pietra miliare: da allora il cinema è “prima” o “dopo” Pulp Fiction. Sul titolo-omaggio a Sergio Leone, annuncio di “una dichiarazione d’amore alla Hollywood della sua infanzia, una visita rock all’anno 1969 e un’ode al cinema intero” (parole del Delegato generale del Festival Thierry Frémaux) si era fantasticato a ruota libera. Era top secret.

Ma qui la sala stracolma della primissima proiezione non ha osato applaudire. Eppure non manca nessuna delle “magnifiche ossessioni” di sempre: le locandine dei B-movies su cui Tarantino è cresciuto, i drive-in e i neon vintage della Città degli angeli, i set degli studios gloriosi e le mitiche serie della tv in bianco e nero.

L’inizio del film è grandioso, sepolto però da 2 ore e 41 senza emozioni. Vediamo Leonardo Di Caprio sul set di una serie western tv, Bounty Law, con il suo “doppio” Brad Pitt, un po’ controfigura, un po’ autista-tuttofare. Intorno all’attorino frustrato, che al cinema è condannato a ruoli di cattivo bastonato, si muovono l’agente Al Pacino, Bruce Dern, Emil Hirsh, il compianto Luke Perry , Kurt Russell (non accreditato nei titoli), e una Sharon Tate interpretata dalla splendida Margot Robbins.

Sì, perché il 9 agosto del 1969 segnò la strage di Charles Manson nella villa di Beverly Hills . Tarantino immagina Polanski e consorte vicini di casa di Rick Dalton-Di Caprio, ma per lui miti irraggiungibili.

Perciò le loro due storie procedono parallele senza incrociarsi, dal febbraio 1969 al finale, quella fatidica notte di cui – posso dirlo perché qualche americano lo ha già rivelato – Tarantino cambia il corso degli eventi. Riscrive la storia, insomma, come aveva già fatto con i nazisti di Bastardi senza gloria.

Sono spassose le finte scene di film di genere con Di Caprio, e le sue reazioni quando Al Pacino gli consiglia di andare a fare western-spaghetti in Italia: “Fucking italian movies !”. È clamoroso il party hollywoodiano nella Playboy Mansion, con un somigliantissimo Steve Mc Queen.

Ma quando Brad Pitt finisce per caso nella sinistra comunità hippie di Manson, accampata in un ranch da riprese in rovina, è come se l’intera stagione dei figli dei fiori e del Flower Power finisse sul rogo. Lo stuntman – che in precedenza ha steso un arrogante Bruce Lee- saprà menar le mani a dovere negli ultimi 20 minuti . Un uomo, un cane e un lanciafiamme provvidenziale. Arrivano i nostri.

Anche la fase italiana di Di Caprio-pistolero – con tanto di amorosi tributi di Tarantino a Sergio Corbucci e Antonio Margheriti – chissà perché è tirata via senza grazia. Ritmo, dialoghi: dov’è il bad boy Tarantino di sempre ? Ma soprattutto lo spirito del film non convince. Sarebbe piaciuto a John Wayne. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Sono gli eroi dal cazzotto tosto che garantiscono l’happy end.

Fonte Huffington Post