Il cielo sopra Budapest. Se i migranti possono volare…
In sala dal 12 luglio (per Movies Inspired), “Una luna chiamata Europa”, nuovo e drammaticamente attuale film dell’ungherese Kornél Mundruczò. Un provocatorio e sorprendente poliziesco cristologico sull’Ungheria (ma anche l’Europa) xenofoba e fascista di Orban attraverso la storia di un rifugiato siriano in fuga che, dopo essere stato colpito dai proiettili di un poliziotto, scopre di poter volare. Presentato a Cannes un anno fa, rivederlo oggi che l’Italia chiude i porti ai migranti fa venire i brividi …
Rifugiati che volano sopra i tetti di Budapest. Che ascendono al cielo come poveri cristi. Per poter sfuggire alla polizia in assetto da guerra. Che blocca strade, fiumi, confini. Che deporta, uccide e tortura. La polizia dell’Ungheria xenofoba e reazionaria di Orban, delle reti contro i migranti in esodo dalla Siria, dei diritti civili negati e delle minacce di Bruxelles di metterla al bando dall’Europa. Prima ancora che l’Italia chiudesse i porti ai migranti.
Era solo un anno fa il ritorno a Cannes “con gli effetti speciali” di Kornél Mundruczò, regista ungherese quarantenne che sulla Croisette praticamente è nato e poi cresciuto, diventando uno degli “autori da festival” più in vista del panorama internazionale, capace di “spaccare” la critica per quei suoi film (Pleasant Days, Johanna, Tender Son, White God) fortemente simbolici e carichi di metafore.
Dopo White God, l’ultimo nero e visionario apologo sul potere – sempre nella sua Ungheria, capofila dei rigurgiti di fascismo in Europa dove assistiamo ad una rivolta di cani randagi – , ora Mundruczò con Una luna chiamata Europa ci racconta delle principali vittime di quel potere, le più deboli: i migranti.
E lo fa stavolta spingendosi oltre i canoni abituali del suo cinema, ultilizzando addirittura il fantastico, con la capacità di volare di Aryan, il giovane rifugiato siriano in fuga, a cui il poliziotto senza pietà spara in pieno petto. Tre fori sanguinanti nel costato come un Cristo appena deposto dalla croce che gli frutteranno però il super potere, un po’ come il nostrano Jeeg Robot di Mainetti.
Mundruczò mescola poliziesco, del più classico con l’action movie più scatenato. Inseguimenti d’auto (con riprese rasoterra), attentati terroristici in metro, e poi i voli sopra i cieli di una Budapest blindatissima in cui volteggia Aryan perennemente in fuga. Braccato dal poliziotto cattivo e dall’intero esercito. E aiutato dal dottor Stern (Merab Ninidze che all’incontro stampa a Cannes ha salutato i giornalisti col pugno chiuso), un medico corrotto ed ubriacone, di cui assisteremo al riscatto finale, grazie all’incontro col ragazzo.
Fischiato alla proiezione della stampa, Una luna chiamata Europa è uno di quei film che o ti cattura o ti lascia steso. A noi ha catturato. E a pensare che a distanza di una anno dalla presentazione a Cannes, l’Italia ora chiude i porti ai migranti, ci fa venire i brividi.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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