Colette o Carolina Invernizio? Il biopic (conformista) sull’anticonformista scrittrice francese

In sala dal 6 dicembre (per Vision Distribution), “Colette”, biopic dell’inglese Wash Westmoreland dedicato alla celebre e “scandalosa” scrittrice francese, simbolo di emancipazione e riscatto femminile. Ma in questa versione british nulla di tutto questo emerge. Un film conformista e piatto con una monocorde Keira Knightley nei panni della protagonista …

Il nome Gabrielle pronunciato con accento very english dal marito usurpatore non è che una delle cose fastidiose di questo biopic che ha trasformato un mito francese e ribelle come Colette, in un’eroina da romanzo d’appendice stile Carolina Invernizio.

E non bastano certo i baci saffici o le scivolate tra le lenzuola dell’impassibile Keira Knightley, ex piratessa dei caraibi e volto austeniano di Orgoglio e pregiudizio, a far cambiare registro al film.

La versione inglese di Colette, appena arrivata sui nostri schermi – dopo l’anteprima torinese – per la regia del britannico Wash Westmoreland, che pure aveva commosso e sorpreso (regalando un Oscar a Julianne Moore in lotta con la devastazione dell’Alzheimer) con Still Alice, del coraggio rivoluzionario e dell’indole anticonformista della sua protagonista non ha proprio nulla.

Anzi. Se possibile, riesce ad appiattirne ogni slancio, mostrandola ingenua ragazzina di campagna (quale era davvero Colette ma con ben altro carattere) arrivare alla scoperta della sua omosessualità come reazione o ripicca ai ripetuti tradimenti del marito, orrenda figura di editore della Belle époque, puttaniere e sfruttatore (di poveri scrittori e della stessa moglie) che qui, incarnato dall’ottimo Dominic West, è l’unico ad offrire un brivido alla storia.

Quasi quasi da farti venire voglia di parteggiare per lui. Soprattutto quando è al lavoro sul suo diabolico piano, la creazione del fortunato marchio Claudine: la sfrontata scolaretta le cui avventure, in parte autobiografiche, nate dalla penna della sua giovane consorte – ma firmate col nome del marito -, sarebbero diventate agli albori del secolo breve non solo degli autentici bestseller, ma vere fabbriche di merchandising (l’unica parte interessante del film), ispirato al malizioso mondo dell’eroina di campagna approdata nella Parigi libertina dei ricchi salotti borghesi.

Perché questo è stata nella realtà Colette, al secolo Sidonie-Gabrielle Colette, scrittrice, attrice, danzatrice, iconica femminista ante litteram e simbolo di emancipazione femminile che ha cavalcato la Belle époque da vera pop star, dando scandalo e infuenzandone costumi, teatro e stile. E, ovviamente, anche il cinema a cui da subito ha offerto i suoi racconti.

Tra i primi Gigi di Jacqueline Audry del ’49, divenuto pièce a Brodway nel ’51, con una allora sconosciuta Audrey Hepburn e poi musical per Vincente Minnelli nel ’58, sommerso dagli Oscar. Ne seguiranno altri di adattamenti, anche dopo la sua scomparsa nel ’54. Da Colette, une femme libre, film di tv di Nadine Trintignant, moglie del celebre attore fino all’ultimo di Stephen Frears, Chéri del 2009. La sua esistenza, infatti, un film lo è stata davvero. Sarà per questo che il cinema non riesce ad immortalarla.