Con Biancaneve le nuove tendenze colore autunno/inverno 2025 della maison Disney
Annunciato per il 2025 il remake del classico d’animazione disegnato da Walt Disney nel 1937. Ad interpretare la principessa sarà un’attrice latina, Rachel Zegler. Il dramma di chi deve riportare la notizia e la soluzione che proponiamo ai perplessi. Riflessione semiseria tra “blackwashing” e “whitewashing” …
Come lo scrivi un pezzo sulla nuova Biancaneve di Walt Disney? Sembra una cosa semplice, ma non lo è per niente. Perché Rachel Zegler, la giovanissima attrice che sarà protagonista del prossimo remake Disney è latinoamericana. Le cose si mettono male, la contraddizione tra il nome del personaggio e la carnagione dell’attrice la vedi chiarissimamente e si presta anche a facili battute che, puoi stare sicuro, qualche buontempone destrorso con un dubbio senso dell’umorismo avrà già pubblicato sui suoi profili social.
Primo passo: negazione. I traduttori italiani nel corso dei decenni ne hanno fatti di scempi, basti pensare al titolo del cult di Charlie Kaufman, Eternal sunshine of the spotless mind (“Eterno splendore della mente immacolata”), verso del poeta Alexander Pope, che da noi è diventato un orribile Se mi lasci ti cancello. Magari anche Biancaneve, in inglese, suonava in maniera molto diversa e meno connotata a livello di colore. Macché, Snow White, più chiaro di così non si può.
Seconda speranza: i Grimm. Sono i due fratelli tedeschi ad aver inventato il personaggio, chissà che il colore della pelle non c’entrasse nulla. Le probabilità sono poche e si infrangono malamente nelle prime righe della fiaba: «una bimba bianca come la neve». Non c’è via di scampo.
Di buono c’è che la versione originale della storia è meno poetica: non c’è matrigna, ma una madre gelosa che vuole fegato e polmoni della figlia per cucinarseli, e non c’è nemmeno il bacio di cui tanto si è discusso, anzi sono i servi del principe che, stufi di trasportare il cadavere della principessa in giro, le fanno sputare il torsolo avvelenato a furia di pugni e calci, riportandola in vita. Insomma, un po’ di infedeltà alla favola è giustificata.
Rimane, però il nodo centrale, perché Biancaneve non sarà bianca? Semplice: gli Stati Uniti degli ultimi anni hanno fatto del dibattito sul razzismo la colonna portante di ogni discorso. Ed è giusto, c’è poco da dire. Le case di produzione, da sempre, hanno fatto del denaro la propria bussola e anche su questo, sebbene meno giusto, c’è sempre poco da dire perché è cosa arcinota. Et voilà, dunque, tutte le grandi majors hanno raccolto la richiesta di rappresentanza delle minoranze per ingraziarsi il giovane pubblico a stelle e strisce che, giustamente, non ne può più del razzismo sistemico. Il fatturato è salvo, anzi cresce anche, e la reputazione migliora.
Così, David Copperfield, il personaggio letterario in cui Dickens mise molto di se stesso, è diventato indiano. La Sirenetta, altro remake disneyano, da giovane principessa dei mari del Nord è passata ad avere il volto dell’attrice afroamericana Halle Bailey.
Sul remake di Mulan c’è quasi da ridere, il film del 1998 voleva essere “un omaggio” alla cultura cinese, ma c’è poco di omaggiante in una cultura egemone che decide di raccontare la storia di una cultura subalterna. Se il cast del remake non dava problemi di nessun tipo, essendo orientale già nel cartone, il campo di battaglia si è spostato sui personaggi.
Cassato il draghetto, che era piaciuto moltissimo negli States (paradosso dei paradossi: a doppiarlo era Eddie Murphy, afroamericano), perché esempio di banalizzazione della cultura cinese, e cassato il comandante dell’esercito di cui Mulan si innamora, perché in tempi di #MeToo sembrava fuori luogo un uomo in ruoli di comando che fosse anche un amante.
Su quest’ultimo è insorta la comunità arcobaleno, che negli anni aveva fatto del comandante un’icona bisessuale, dato che si interessa alla protagonista nel momento in cui la crede un soldato maschio. Non abbiamo conferme, ma è plausibile che il numero di imprecazioni sussurrate in mezzo ai denti dalla Disney davanti a queste polemiche sia stato considerevole.
Torniamo al nostro problema: che cosa scrivi tu, ragazzo bianco, sulla Biancaneve latina? Il plotone di esecuzione social è instancabile e ramificatissimo, ti scova sempre. Ma non è quello che spaventa. Quello che temi di più è finire dalla parte del torto, di quelli che parlano addirittura di blackwashing, rivoltando il concetto, quello sì reale, di whitewashing, pratica ben diffusa che consisteva nell’assegnare a bianchi truccati le parti di neri e orientali, così da continuare a estrometterli dall’industria.
Insomma, ci sarà pure una via di mezzo tra quelli che al primo bacio gay o personaggio nero gridano allo scandalo e il dover trasformare ogni cast nella trincea di una lotta per la rappresentanza, sebbene sia una lotta giusta (discorso che sa tanto di fine che giustifica i mezzi).
Allora, come si esce da questo impasse? Il modo migliore che l’uomo ha sempre avuto è stato inventare una fiaba. Lo sanno bene i Grimm e lo sa anche meglio Disney, che su quelle fiabe ha costruito il suo impero. La stessa America si è spesso raccontata favole di sogni irraggiungibili e i nostri antenati dei primi anni del Novecento conoscevano storie meravigliose di alberi da dollari che crescevano oltreoceano.
Ecco allora la soluzione che può mettere d’accordo tutti: in quel continente lontano di cui sappiamo tutto e non sappiamo niente, la pioggia non è acqua ma caffellatte. Sì, caffellatte. In America infatti, quando piove di primo mattino, la gente tiene l’ombrello al contrario per raccogliere il caffellatte e usarlo come tazza. Ovviamente, quando nevica i fiocchi non sono altro che gelato al caffellatte. E Biancaneve, care bambine e cari bambini, ha da sempre il colore della neve.
Larga la foglia, stretta la via, non dite la vostra per cortesia.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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