Con Ugo Pirro nel covo di “Cinema democratico”, imparando l’arte rivoluzionaria della sceneggiatura
In memoria di Ugo Pirro un ricordo di un ex “giovane corsista” di “Cinema democratico”, associazione “rivoluzionaria” del cinema italiano basata sull’utopia del “tutti uguali” che, nella sua sede romana di viale Giulio Cesare, negli anni ’80, ospitava gli affollati e mitici corsi di sceneggiatura del grande autore stimato e “temuto” da tutti. Di cui ricorre il centenario della nascita …
“Il talento è fatica!”.
Ugo diceva “fatica” socchiudendo gli occhi, caricando poi la parola: rafforzandola, scandendola, addensandola come se già solo dalla pronuncia dovesse essere ben chiaro il significato del sostantivo. Con tutta la sua ineluttabile pesantezza. Poi, per rendere ancor più chiaro il percorso che ci attendeva, chiudeva rivelando: “Io me so scritto pure le mani!”.
Scrivere dunque, sarebbe stato anzitutto fatica. L’aveva detto questo signore risoluto ed autorevole: c’era da crederci. Noi eravamo solo “giovani corsisti”, intenti ad apprendere un’arte ignota a tutti: la sceneggiatura.
Burbero, ma anche timido, per certo rigido, e questo per via dell’educazione, ma con una voglia matta, spesso repressa, di ridere, Ugo Pirro nato Ugo Mattone (Salerno, 26 aprile 1920 – Roma, 18 gennaio 2008) era stimato e “temuto” da tutti. La sua chioma bianca compatta pareva giusto un elmo, l’elmo di Pirro, ed incuteva rispetto lì al quinto piano di un palazzo di viale Giulio Cesare, Roma Prati, vicino alle caserme.
Erano gli anni ’80 e quell’appartamento pieno di “tipi” davvero “strani” era la “battagliera”, a dir poco, sede di “Cinema Democratico”, associazione “rivoluzionaria” del cinema italiano, basata sull’utopia del “tutti uguali”, e questo in una organizzazione gerarchica e dittatoriale per eccellenza com’era il cinema, col regista, e il produttore, padroni assoluti, autorizzati a decidere le sorti di ogni essere vivente che girasse per qualsiasi motivo intorno ad un set.
In “Cinema Democratico” no, non era così; un macchinista, un parrucchiere, un elettricista, un attore, una comparsa avevano ognuno il diritto, interclassista, di far sentire la propria voce in un’associazione che ambiva a rappresentare proprio i “cinematografari” di tutte le risme.
Le persone che si agitavano in quell’appartamento che sprizzava di eresia, energia e voglia di fare erano Libero Bizzarri, Nanni Loy, Enrico Vanzina, Claudio Cirillo, Luigi Filippo D’Amico, Tonino Valerii, Massimo Felisatti, Lucio Battistrada, Umberto Turco, Pino Caruso e tanti, tanti altri.
Ugo Pirro era apprezzato per la bravura ed anche per i successi. Aveva esordito con Carlo Lizzani, con due film ambientati durante la Resistenza: Achtung! Banditi! del 1951 e Il gobbo del 1960. Era nel tempo arrivato ad essere nominato a due premi Oscar per la sceneggiatura originale di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, 1972, e nello stesso anno per la sceneggiatura non originale (da Giorgio Bassani) de Il giardino dei Finzi-Contini.
Noi “giovani corsisti” non badavamo troppo ai premi. Se possibile, ne diffidavamo addirittura. Erano altri tempi. Avere premi da academies e da consorterie varie non sempre equivaleva ad identificare, garantire, un cinema che ci piacesse.
Ma Ugo sì, Ugo ci piaceva. Al di là dei “premi”, lui rompeva gli schemi. Tutti intorno ad un tavolone grande quanto una stanza eravamo in religioso silenzio, intenti ad ascoltare quell’ “artigiano” tenace della scrittura.
Sigaretta perennemente accesa al lato della bocca, occhi spesso socchiusi. Era lui il primo a svelarci che c’erano tecniche e modi per scrivere, e che scrittori non si nasceva, per censo o doti innate, al contrario. Il talento si acquisiva col lavoro. E la scrittura poteva, democraticamente, essere esercitata da chiunque, in modo attivo, ne conoscesse non i “segreti”, ma più “proletariamente” i “criteri”.
Oltre al “talento”, da acquisire con la fatica, c’erano inoltre un paio di cose davvero importanti di cui tener conto nel tentare di apprendere il “mestiere” dello sceneggiatore: il “punto di vista”, e la conoscenza di quello di cui si scriveva. La prima qualità era spesso associata ad una “non neutralità” che ben si accoppiava col cinema politico e di impegno “civico” imperante. La seconda qualità parlava più genericamente di “curiosità”, di “studio” di luoghi e personaggi, o di fatti.
Mentre ci parlava della sua di curiosità, e ci raccontava di come avesse tentato di “mimetizzarsi” tra i giovani dell’epoca per scrivere uno dei suoi romanzi, Freddo furore, dedicato proprio ai giovani degli anni ’60, solo allora ti rendevi conto – e improvvisamente – che quella testa bianca, candida di Ugo, l’avevi vista mille volte prima di questo corso di sceneggiatura di Cinema Democratico. L’avevi vista intrufolarsi nelle manifestazioni, nelle assemblee, nei cortei, nei cineclub, nelle librerie, da Feltrinelli. Nei luoghi che tutti frequentavano. Ovunque lui c’era: a vedere, partecipare, a prendere parte, a vergare appunti per il suo lavoro…
Il “burbero” generoso, sempre per curiosità, volle addirittura venire a vedere l’avventuristico cinema d’essai che con amici gestivamo a Ciampino, dove i film di Fassbinder, per dire delle scelte che non proprio “semplici”, erano nel cartellone quotidiano. E spinse altri corsisti e me a fare una lunga indagine televisiva, con la sua diretta supervisione, per la sede Rai del Lazio (1983, produzione coop Cinema Democratico) sui “giovani” ed i “motorini”, argomento che lo intrigava parecchio proprio perché i motorini erano un’infinità e allora c’era da capire il perché di questa “proliferazione”, rivendicazione d’indipendenza o altro che fosse…
Oltre ai tratti anche troppo personali, anche se rivelatori, di un ricordo, di Ugo Pirro, nell’anno dei centenari (100 anni dalla nascita) è giusto sottolineare soprattutto la versatilità, che copre un arco d’interessi che vanno dalla storia contemporanea, alla sociologia.
Ugo, oltre che sceneggiatore, è stato infatti anche autore di libri. Dal romanzo d’esordio Le soldatesse, del 1956, portato al cinema da Valerio Zurlini nel 1965, alla cronaca familiare de Mio figlio non sa leggere (1981), sulla dolorosa, impensabile per lui, uomo di parole, scoperta della dislessia del figlio, fino a Celluloide (1983), dal quale Carlo Lizzani trasse l’omonimo film nel 1996, che racconta genesi, storia e retroscena del film Roma città aperta.
Come tanti di quella generazione, Ugo sapeva “prendere parte”; aveva carattere, non era “neutrale” e sapeva in quale “fazione” con generosità stare. Ci ha lasciato opere, film, romanzi, saggi ancora attuali, che parlano dei tempi nei quali sono stati concepiti ma mantengono una freschezza che da quei tempi le affrancano anche, dando loro una dimensione assoluta.
Enzo Lavagnini
Regista, sceneggiatore, produttore e critico cinematografico. Suoi i documentari: "Un uomo fioriva" su Pasolini e "Film/Intervista a Paolo Volponi". Ha collaborato con Istituto Luce, Rai Cultura e Premio Libero Bizzarri. Tra i suoi libri, "Il giovane Fellini" , "La prima Roma di Pasolini". Attualmente dirige l'Archivio Pasolini di Ciampino
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