Dall’altra parte del muro di Auschwitz. Il paradiso degli sterminatori nel film da Oscar che torna al cinema

Torna in sala dal 26 al 29 gennaio (per I Wonder Pictures) in occasione del Giorno della memoria “La Zona d’interesse“, folgorante film dell’inglese Jonathan Glazer, due premi Oscar e Grand Prix du Jury a Cannes 2023. Sconvolgente, raggelante, folgorante libero adattamento dell’omonimo romanzo del britannico Martin Amis (Einaudi). Il regista firma un ordigno esplosivo raccontando l’orrore di Auschwitz dall’altra parte del muro, dove vive in un “paradiso” la famigliola di Rudolf Höss, il capitano manager sterminatore. Da non perdere …

La Zona d’interesse ha vinto due Oscar (miglior film internazionale e sonoro) e a Cannes 2023 ha vinto il Grand Prix du Jury ed è stato accolto da un tripudio di critica. Jonathan Glazer, regista britannico che gira in tedesco e polacco, ha fabbricato un ordigno raggelante ma altamente esplosivo, prosciugando all’osso il romanzo omonimo di Martin Amis (tradotto in Italia da Einaudi) che non a caso è dedicato a Primo Levi.

“Intro”bucolica: famiglia bionda da cartolina, pomeriggio sul fiume, tramonto nella villetta rigogliosa di fiori e di ortaggi. Dietro il muro di cinta però spunta la sagoma inconfondibile di una torretta di guardia: è Auschwitz, quella vera. Siamo nel nido privato di Rudolf Höss, manager (se così si può dire) di un lager che è un’azienda efficiente.

È una dimora accogliente con benefits molto speciali. Un deportato porta con la carriola vestiti buoni che ai proprietari non servono più: anche le domestiche, con parsimonia, possono servirsi: un outlet gratuito. Un altro lava via il sangue dagli stivali del padrone di casa. Gli ospiti maschi in salotto progettano l’ottimizzazione dei forni crematori: 400 o 500 persone alla volta? Le signore spettegolano. “Vedi questo diamante? Era in un tubetto di dentifricio. Sono furbi! Nell’incertezza li ho svuotati tutti”. Come la sorpresa negli ovetti Kinder.

A cento passi, le ciminiere eruttano cenere di corpi umani, proprio come la strega bruciata nel forno di Hansel e Gretel, la fiaba che il babbo legge ai suoi bambini. Nella tasca di una pelliccia di visone la mamma trova un rossetto: è usato, ma torma buono anche quello. È l’apoteosi del riciclaggio: uno dei piccoli si trastulla coi denti d’oro dei morti, le vagonate di cenere organica sono un concime magico per i fiori. “È un paradiso”, dice orgogliosa Frau Höss alla madre in visita.

Mentre un’ebrea scheletrica allarga le gambe in paziente attesa, Höss sta impartendo ordini tassativi al telefono: basta con il saccheggio dei suoi lillà, “che sono là per decorare il campo”. Ma di colpo, a spezzare l’incanto, arriva l’ordine di trasferimento: “Ma è la casa dei nostri sogni – si dispera la moglie – abbiamo tutto quello che desideriamo a due passi!”.

Parte da solo, perciò, il capofamiglia, per un summit di gerarchi che è come un consiglio di amministrazione. Ottocento deportati dall’Ungheria: l’accordo con il governo è cosa fatta. “Sarà complicato, per via dell’altezza dei soffitti”, si cruccia lo sterminatore seriale al telefono.

Sullo sfondo c’è molto altro. C’è la rivalsa di classe, il gusto ripugnante della frittata sociale che si è ribaltata. I tedeschi anonimi, gli ultimi di prima, sono la nuova classe agiata. La nonna, passando, ha intravisto una faccia ebrea conosciuta. ”Te la ricordi? Facevo le pulizie a casa sua”. Ma sbalorditiva è l’estetica del film: stilizzazione minimalista, palette ocra da modernariato, luci glaciali.

È la proiezione geometrica dei cervelli programmatori di morte su scala industriale che diventa design e linguaggio cinematografico. In sintonia esemplare gli interpreti tedeschi, la Sandra Huller vista in Vi presento Toni Erdmann e il Christian Friedl de Il Nastro Bianco di Michael Haneke.

C’è una nota assordante, un disturbo sonoro, che irrompe dallo schermo buio, all’inizio e alla fine di The Zone of Interest: è un rumore di fondo, non un white noise, ma un black noise, che resta sempre sotto il racconto. Finisci, ad un certo punto, per non farci più caso, assuefatto anche tu spettatore, come quei bravi tedeschi vicini di casa dei lager (l’Oscar per il sonoro gli ha reso merito).

Senza soluzione di continuità, le pulizie di routine nella Auschwitz-museo di oggi, con le inservienti che spolverano i carrelli per i cadaveri e i vetri tersi davanti ai cumuli di occhiali e di scarpe, subentrano alla meticolosa manutenzione di casa Höss. Basterà congelare l’orrore in un parco a tema della memoria per tornare a sentire quella nota stonata che non vuole tacere?

Fonte Huffington