Edipo va a Berlino. “Music” porta il mito nella nostra epoca (e in concorso)
In concorso alla Berlinale “Music” di Angela Schanelec, un’attualizzazione dell’immortale mito di Edipo. La regista strizza più volte l’occhio alla psicoanalisi e sceglie un ritmo lento, fatto di inquadrature belle e molto lunghe. Un film che “pesa” e ci conferma una scelta controcorrente della selezione berlinese. Nell’epoca della comunicazione iperveloce sembra volerci dire che è venuto il momento di reclamare al mondo il proprio tempo e la necessità di non parlare …
Se togliessimo a Music, il film della tedesca Angela Schanelec presentato in concorso alla Berlinale, i momenti canori e quelli senza dialoghi, avremmo un film molto breve. Le quasi due ore sono occupate molto spesso da silenzio e lunghi piani statici, ben costruiti.
La storia non è facile da desumere, ma lo diventa perché è chiaramente un calco moderno del mito più noto di tutti, quello di Edipo. Non a caso, buona parte della storia si svolge nelle campagne greche, dove una famiglia trova un bambino abbandonato dai suoi genitori.
Non c’è la previsione malefica di un oracolo ad annunciarne i motivi, solo un cielo grigio che si allunga a prendere la quasi totalità dello schermo. Dopodiché, sempre con pochissime parole, arriviamo lentamente alla prima tappa terribile del mito: l’uccisione inconsapevole del padre.
Schanelec decide di aggiungerci una sfumatura ancor più freudiana di quanto il mito non fosse già. Il nostro Edipo, ribattezzato Ionathan, uccide il giovane padre perché aveva tentato di baciarlo. Finisce per questo in carcere, dove nascerà l’amore con la giovane, anche lei inconsapevole, madre.
È interessante vedere come la regista ha trasposto nel mondo moderno gli elementi del racconto mitologico. Più suggestivo del litigio per la precedenza a un crocicchio diventato un avance amorosa è la risoluzione dell’enigma della Sfinge, che nel mito rende Edipo degno di diventare re e sposare sua madre. In Music, Ionathan risolve invece un cruciverba. E la sua soluzione è, ancora una volta, molto vicina al mondo della psicoanalisi: proporre “specchio” come sinonimo di “sogno”.
La storia prosegue poi come è noto, Edipo/Ionathan ha una figlia da Giocasta/Iro, lei scopre la verità e si uccide. Qui l’aspetto più terribile del mito, l’accecamento del protagonista, viene mitigato e diluito nel tempo. Ionathan inizia a perdere la vista e per questo indossi degli occhiali non arriverà mai, altra novità, alla cecità vera e propria. La regista lo salva, preferendo immaginarlo in grado di redimersi, finendo sì nella foresta mitologica ma non da solo.
C’è poi la musica, come il titolo preannuncia, che diventa protagonista all’incirca alla metà del film. Ionathan canta durante la sua detenzione e poi, dopo la morte di Iro, passa dall’opera a un versante un po’ più pop, una volta trasferitosi a Berlino, assieme alla figlia, anche lei cantante (una menzione per le ottime performance canore degli attori è necessaria).
Schanelec non è certo la prima e certamente non sarà l’ultima a pescare nel mito di Edipo per un film. A differenza di illustri predecessori, Pasolini su tutti, ha scelto di lasciar fuori se stessa dalla storia ed essere il più possibile aderente agli elementi della vicenda (Ionathan ha delle ferite ai piedi esattamente come l’eroe greco, giusto per citare un esempio).
Come detto, i piani del film sono di grande rigore e bellezza formale. Tuttavia, il ritmo, lento, molto più ferale che compassato, è comprensibile ma finisce per pesare fino al confine del sostenibile. È certamente una scelta, che paga e richiede, possiamo dire, un credito d’attenzione al pubblico. Ma sarebbe stata certamente più felice se la regista avesse ridotto la lunghezza della vicenda dopo la morte di Giocasta.
Music in ogni caso ci conferma una tendenza interessante della selezione ufficiale berlinese. Non è l’unico film ad avere dialoghi ridotti al lumicino e non è l’unico film a insistere su lunghe sequenze fatte per lo più di silenzi e lenti movimenti di macchina. La Berlinale di quest’anno sembra volerci dire che è venuto il momento di reclamare al mondo il proprio tempo e la necessità di non parlare. Nell’epoca della comunicazione iperveloce, a suo modo, è una scelta quantomeno controcorrente. E Music ne è senza dubbio uno degli esempi più paradigmatici.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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