Egon Schiele, la pittura come libertà. E non è solo una storia d’amore
Torna in sala il 26, 27 e 28 febbraio (per Draka Distribution e Twelve Entertainment) “Egon Schiele”, il film di Dieter Berner dal romanzo di Hilde Berger. La vita e il tormento d’artista del grande pittore viennese di cui nel 2018 ricorre il centenario della sua morte. Ma il film punta soltanto sulla storia d’amore…
C’è sempre un luogo e un tempo in cui il corpo nudo è bandiera di libertà, sensibilità e tempo occupato per dare spazio ad una diversità del sentire, del vedere, del rappresentare.
È una linea sottile che unisce personalità delle arti sconosciute e che tutte insieme rispondono ad una richiesta di cambiamento e libertà.
Tra loro è sicuramente Egon Schiele, artista controverso e trasgressivo la cui vita è ora narrata nel film di Dieter Berner, di nuovo in sala (dopo l’uscita lo scorso novembre) per soli tre giorni: 26-27-28 febbraio, per Draka Distribution in collaborazione con Twelve Entertainment.
Ispirato al romanzo Tod und Mädchen: Egon Schiele und die Frauen di Hilde Berger, il film racconta romanzandola quel che serve, l’esistenza del pittore austriaco, seguendolo nei passi principali ed eroici del distacco da “accademie” ormai stanche e convenzionali in quello squarcio di storia europea a cavallo della Grande Guerra.
Egon nasce in un piccolo paese nei pressi di Vienna. La sua infanzia subisce una drammatica svolta a quindici anni (1905) quando suo padre Adolf muore di sifilide. Questo evento influenzerà la sua poetica: l’erotismo sarà sempre rappresentato tragico e tormentato.
Pupillo di Gustav Klimt, Egon Schiele, di cui ricorrerà il centenario della morte nel 2018, è stato l’esponente di punta del primo espressionismo viennese.
Un fascino conturbante avvolge la sua breve vita. Caratterizzato da un talento precoce, morto all’età di 28 anni, lasciando una produzione corposa tra dipinti a olio, acquerelli e disegni.
Giovane, seduttore e provocatorio, agli inizi del XX secolo, Schiele ha il volto di Noah Saavedra che nella sua interpretazione ne restituisce una personalità appena sufficente a ricordare le figure nodose e contorte e asciutte, crudeli ed estremamente sensuali delle sue opere.
Shiele infatti è tra gli artisti più controversi di Vienna. La sua arte è ispirata da figure femminili affascinanti e disinibite, in un’epoca che sta volgendo al termine con l’avvento della Prima guerra Mondiale. Due sono le donne che condizioneranno davvero la sua vita e la sua espressione artistica: Gerti, sua sorella e sua prima musa e la diciassettene Wally, forse l’unico vero grande amore della sua vita, immortalata nel celebre dipinto La morte e la fanciulla esposto al Leopold Museum di Vienna.
Mentre i dipinti di Schiele creano scandalo nella società viennese, portando l’artista anche in tribunale con l’accusa di abuso su una minorenne e di “pornografia”, collezionisti lungimiranti e artisti tra i più acclamati come Gustav Klimt, iniziano a riconoscere l’eccezionale valore della provocatoria e tormentata arte del pittore. Quando lo scoppio della prima guerra mondiale minaccerà la sua ricerca e libertà artistica, Schiele sceglierà di sacrificare alla sua arte l’amore e la vita stessa, facendo del dolore e del suo disagio esistenziale la cifra stilistica che lo consacrerà tra i maggiori interpreti dell’Espressionismo.
In Egon Schiele avremmo voluto trovare il racconto di una vita spesa nel desiderio di libertà, libertà nell’esprimere la propria diversità, Libertà nel desiderare e mostrare PELO e PELLE su quel fronte di guerra, tra sanguinose trincee dove stava morendo un mondo che sarebbe rinato con nuove richieste di libertà. Quella richiesta di libertà che lega indissolubilmente l’artista al suo tempo.
Troviamo invece un film tutto piegato sulla Love Story, un po’ smielata e borghese, condotta tra passeggiate in bicicletta e febbri (“la spagnola”) consumate sul divano dello studio viennese. Manca, insomma, quella capacità di indagare attraverso la “distorsione di forme”, propria dello stesso pittore, in cui sensualità ed erotismo si uniscono a morte e malattia. E mancano, ancora, quei dubbi sull’esistenza che l’artista ci pone come domande dipinte nei suoi quadri sulle questioni più profonde dell’esistere.
A noi rimangono comunque le sue opere che, insieme a quelle di Otto Dix, Giovanni Segantini e Max Klinger, è stato possibile approfondire nella mostra, Secessione. Monaco Vienna Praga Roma. L’onda della modernità, a cura di Francesco Parisi in programma a Rovigo, Palazzo Roverella, terminata lo scorso gennaio.
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