Emma Carelli, la donna che visse due ruoli (diva e manager). E fu cancellata dal regime, in un doc

In sala come evento speciale il 5, 6 e 7 ottobre (per Istituto Luce-Cinecittà) “La prima donna” di Tony Saccucci, documentario targato Istituto Luce Cinecittà dedicato a Emma Carelli, straordinaria figura di diva della lirica e manager che, dal 1912 al 1926, diresse il Teatro dell’Opera. Una donna, però, “troppo” emancipata per quei tempi e che in breve il regime estromise e annientò. A darle il volto è Licia Maglietta …

Una donna eccezionale. Una grande cantante. Una diva. Una prima donna. Una soprano che incantava le folle. Una donna innamorata. Una moglie tradita. Ma anche una grande imprenditrice. Una prima donna manager. Una intellettuale in sintonia con lo spirito dei suoi tempi. Una donna orgogliosa. Una donna che reclamava e affermava i diritti delle donne. Una donna in anticipo sui tempi. E per questo, alla fine, una donna abbandonata e messa da parte.

Tante donne in una: Emma Carelli. La sua è una storia poco nota, privilegio di melomani inguaribili e raffinati, ma rimasta sepolta nella memoria del grande pubblico per tantissimi anni. Vissuta a cavallo fra l’800 e il 900, (nasce nel 1877, muore nel 1928 ad appena 51 anni) figlia della borghesia napoletana, la casa era frequentata ad esempio da Matilde Serao, toccò i vertici della carriera artistica mandando in delirio le folle dei maggiori teatri italiani nonché dei più grandi dell’America latina, ove le sue tournée erano veri e propri trionfi.

La sua Tosca a Buenos Aires, nel giugno del 1900, fece epoca. Ma già era entrata nella storia interpretando sempre Tosca, per la prima assoluta dell’opera, nel gennaio dello stesso anno, al teatro Costanzi di Roma.

Ecco, la sua figura riemerge adesso, grazie a un docufilm, La prima donna, tra le pre-aperture della Festa di Roma, proiettato al Teatro dell’Opera di Roma, proprio in quello che fu il glorioso teatro Costanzi, ristrutturato nel 1928 dall’architetto Piacentini, su diretto impulso di Starace e dello stesso Mussolini, per farne il tempio della lirica nella Capitale in contrapposizione con la Scala di Milano, regno dell’antifascista Toscanini.

Nato da una idea del sovrintendente dell’Opera, Carlo Fuortes, il docufilm è firmato da Tony Saccucci, qui alla seconda prova dopo Il pugile del duce dedicato all’incredibile storia di Leone Jacovacci, pugile romano di grande valore, “cancellato” dal fascismo a causa delle sue origini congolesi.

Un po’ come accadrà a Emma Carelli, ricca e colta borghese, sposa a 21 anni di Walter Mocchi, un sindacalista socialista rivoluzionario anarcoide fondatore fra l’altro, con Arturo Labriola, della rivista L’avanguardia socialista sulla quale firmava fra gli altri un giovin socialista di nome Mussolini. Fu un legame che le segnò la vita fino ad essere causa indiretta, nel 1904, di un suo tentativo di suicidio.

Ma il suo talento, la sua tempra (D’Annunzio l’aveva battezzata bipede leonessa) riuscirono ad imporsi sulla diffidenza politica che la circondava in virtù del matrimonio e la imposero come una delle regine mondiali del palcoscenico. La sua voce, registrata nel 1905 e che brevemente si sente nel film, suscita ancora qualche brivido.

Dal 1907 la sua vita cambia: il marito, trombato alle elezioni, abbandona la politica e si traferisce in America latina a fare l’impresario teatrale. Mette in piedi una grande organizzazione che nel giro di pochi anni ottimizza gli spettacoli fra i maggiori teatri situati ai due lati dell’Atlantico e piano piano coinvolge nell’operazione anche il Costanzi di Roma.

La Carelli si getta a capofitto nell’impresa. Assume la gestione del teatro e cerca di conciliare i due ruoli, quello di cantante e quello di manager. Ma dopo pochi anni si arrende. Smette di calcare le scene, dice addio al bel canto e indossa definitivamente i panni dell’impresario.

Siamo nel 1912. Le donne sono agli albori delle loro lotte di emancipazione. Al massimo sono celebrate come artiste. Ma il loro ruolo nella famiglia e nella società è totalmente subordinato. In questo mondo il ciclone Carelli travolge ogni schema. Perché lei non si limita ad amministrare l’esistente, che all’epoca voleva dire coltivare l’orto dell’ortodossia del melodramma, “la” musica italiana per eccellenza, famosa nel mondo. No, la Carelli si trasferisce a vivere in un appartamento al terzo piano del grande teatro, e da lì diventa regina della cultura del suo tempo.

Negli anni della sua gestione, dal ’12 al ’26, sono 14 anni di fuochi pirotecnici. Così, a volo d’uccello: ospita le serate futuriste di Marinetti e Boccioni; organizza serate filo interventiste con D’annunzio; serate benefiche per la Croce Rossa; ospita i balletti russi di Djagilev, Stravinkij a dirigere L’uccello di fuoco; il Parsifal di Wagner; opere di Strauss, Saint-Saens; Picasso che nel foyer del teatro espone per la prima volta un suo dipinto in Italia oltre a firmare i costumi de Il cappello a tre punte. Per non dire di esecuzioni storiche del melodramma italiano come la prima del Trittico di Puccini.

Come è stato possibile che sia stata scalzata da questo trono? Tanta invidia, ad esempio da parte di Pietro Mascagni. Maldicenze. Rapporti falsi della polizia politica che cominciano a denunciarla come critica e avversaria del regime fascista che, a partire dal ’24, dopo l’assassinio Matteotti assume pienamente il volto feroce della dittatura.

E anche tanto maschilismo represso che erutta nel denunciarne il carattere di donna indomita, autonoma, tale da essere un modello alternativo all’ideale di donna-madre tanto strombazzato dal regime. In generale le donne che durante la guerra erano emerse come pilastro della società, mentre gli uomini erano al fronte, vengono ricacciate nei ranghi.

Infine tutto si salda. Il boicottaggio si fa strada. E quando il regime decide di costruirsi a Roma il Grande Teatro, non deve fare altro che sfilarle il suo Costanzi e, nel ’26, liquidarla. Muore, due anni dopo, in un incidente di auto, tradita definitivamente anche dal marito che in America Latina aveva “scoperto” una giovane soprano brasiliana.

Com’è il docufilm che racconta tutto questo? Interessante, ovviamente anche se molto lento come purtroppo talvolta sono i documentari storici pur con tutta la buona volontà di Saccucci. Anche se, questa volta, è impreziosito dal volto di una Licia Maglietta che presta all’artista il bel viso, caldo e dolente e recita molti brani della narrazione che cuce il racconto, anche se non risulta sempre chiaro l’alternarsi dei testi autobiografici dalla narrazione del regista.

Belle decisamente le immagini girate all’interno del Teatro dell’Opera, le sue luci, i palchi, i corridoi. Ma belle soprattutto le straordinarie immagini uscite fuori da quel patrimonio nazionale che sono gli archivi dell’Istituto Luce che da sole giustificano la visione.

Sfila la Emma, prima di tutto; Mocchi, Beniamino Gigli, Titta Ruffo, Toscanini, Puccini, Mussolini. Il racconto della nostra storia si snoda e si mischia con i grandi eventi della Storia: le grandi migrazioni di fine secolo; la grande guerra; il biennio rosso; gli scioperi; le cariche della cavalleria; la marcia su Roma; i funerali di Matteotti fino a Mussolini che visita il cantiere per la trasformazione del vecchio Costanzi nel nuovo Teatro dell’Opera.