Escher, l’artista più amato dai Pink Floyd. Che disse no a Mick Jagger

In sala dal 16 dicembre (con Feltrinelli Real Cinema e Wanted Cinema), “Escher – Viaggio nell’infinito”, documentario di Robin Lutz dedicato al grande artista e illustratore olandese tra i più pop e copiati del Novecento. Attraverso le testimonianze dei due figli e le visioni dello stesso Mauritz Cornelis, il film ci accompagna attraverso la sua vita e la sua arte. Con la rockstar Graham Nash che ne testimonia la riscoperta nei Settanta, anche sul versante musicale. Celebre  la sua copertina di “On the run” dei Pink Floyd e il suo no categorico a Mick Jagger che lo contattò per chiedergli di illustrare l’album “Let it bleed”

Mauritz Cornelis Escher (1898-1972) non ha bisogno di presentazioni perché è uno degli artisti olandesi più noti nel mondo dopo Rembrandt, Van Gogh e Vermeer. La sua opera è a tutt’oggi fonte di ispirazione, e spesso il suo repertorio iconografico è suscettibile di saccheggio.

In questo documentario, Escher – Viaggio nell’infinito, il regista Robin Lutz vuole mostrare la realtà e gli oggetti così come fossero visti dallo sguardo dello stesso Escher, commentati dalla sua voce fuori campo. Il testo è tratto da appunti e scritti dello stesso artista.

Due interviste e una testimonianza sono montate all’interno di una sorta di storia visiva di Escher: i racconti dei figli Geor di 92 anni e Jan di 80 fanno rivivere le memorie private dell’artista, mentre la rockstar Graham Nash (Crosby, Stills, Nash & Young) testimonia la sua importanza e la sua riscoperta dopo gli anni ‘70.

Escher è un incisore molto amato, oltre che dal grande pubblico, da matematici e fisici per la sua capacità di rappresentare e interpretare concetti appartenenti al mondo della scienza. È capace di presentare costruzioni impossibili e di sovvertire le regole del piano e dello spazio, giocando con paradossi e prospettive.

Nonostante ai suoi tempi esistessero metodi di stampa più moderni, Escher utilizzava prevalentemente la litografia, tecnica che prevede l’incisione delle immagini a rovescio sulla pietra, o la xilografia, che prevede l’incisione su tavolette di legno. Le tavolette venivano poi inchiostrate e utilizzate per realizzare più copie dello stesso soggetto. Entrambe le tecniche hanno in comune la necessità di pensare e realizzare il disegno al contrario, scavando, come nel negativo di una foto. Escher era dunque, un sostenitore dell’arte riproducibile.

Escher nacque a Leeuwarden, in Olanda, nel 1898 e il film, attraverso alcune foto d’epoca, lo mostra come un bambino timido e introverso che a scuola era un mediocre studente, tanto da essere perfino bocciato in seconda elementare, nonostante andasse benissimo in disegno.

Dopo i suoi studi in architettura, fece diversi viaggi in Italia dove conobbe la sua futura moglie, Jetta Umiker, che sposò nel 1924 e con cui visse a Roma, fino al 1935. Si trasferirono poi in Svizzera, successivamente a Bruxelles e infine si stabilirono in Olanda, nella città di Baarn.

In Italia fu colpito dal blu del cielo e particolarmente dalla luce, mentre di Roma rimase impressionato dalle sue visioni notturne. È molto probabile che Escher, essendo un suo collezionista, sia rimasto colpito da “Le Carceri” di Piranesi con grate e scale, con le geometrie inquietanti e l’ossessiva sovrapposizione di ambienti.

Sono famose, inoltre, le serie di incisioni elaborate sulla costiera amalfitana, in particolare quelle di Atrani, dove conobbe Jetta, sua futura moglie.

Anche se le opere più note hanno come soggetto geometrie e tassellature astratte, Escher amava raffigurare la realtà, anzi partiva proprio da essa. Durante i suoi viaggi italiani, realizzò parecchie incisioni e litografie di luoghi e paesi visitati. Era affascinato dall’arte e dall’architettura del Mediterraneo.

Si pagò poi un viaggio in Spagna, per lui e per la sua famiglia, in cambio della elaborazione di sei tavole. La visita all’Alambra di Granada, in particolare, sarà determinante nell’evoluzione della sua creatività.

Escher ha provato a cogliere le diverse dimensioni dell’infinito attraverso composizioni dai temi ripetitivi, spesso convergenti verso un centro, oppure riducendosi o espandendosi all’infinito. Gli elementi del suo linguaggio figurativo sono il pieno e il vuoto così come il negativo e il positivo, mentre la geometria è stato il mezzo con cui Escher ha delineato i confini del suo “infinito interiore”.

Le sue costruzioni geometricamente impossibili, i disequilibri del piano e le alterazioni dello spazio fanno passare lo spettatore dal bidimensionale al tridimensionale, e viceversa. Il documentario racconta la biografia dell’artista e di come sia passato a composizioni sempre meno realistiche: animali che si rincorrono e si inseguono fuori e dentro al foglio, mani che si disegnano da sole, prospettive incredibili, quadrati che diventano prima pesci poi uccelli che diventano uomini, e alla fine tornano quadrati.

La cultura novecentesca e contemporanea ha ripreso molti stimoli visuali di Escher: paradossi grafici tradotti su video, copertine, t-shirt e gadget multiformi. Inoltre, la sua arte è entrata nel mondo dei fumetti, è finita sulle copertine degli LP quando l’artista concesse l’uso di una sua litografia ai Pink Floyd per la cover di On the run.

Anche Mick Jagger lo contattò per chiedergli di illustrare la copertina dell’album Let it bleed, ma Escher si rifiutò. All’artista olandese, che non aveva mai perso la sua riservatezza adolescenziale, non era piaciuta la lettera di Jagger che esordiva con un “ciao Maurits”. Rispose: «Sono il signor M. C. Escher».

La sua poetica figurativa ha influenzato fatalmente anche il mondo del cinema e della televisione. Riferimenti chiari alle sue opere – soprattutto a Case di scale – Relatività del 1951– si trovano, tanto per citarne solo alcuni, nella saga di Harry Potter con le rampe del Castello di Hogwarts, nel film Labyrinth – dove tutto è possibile del 1986 con David Bowie, e in Una notte al museo III del 2014, con una intera sequenza girata dentro al quadro.

Robin Lutz si è specializzato in documentari su celebri autori e reportage culturali. A questo scopo ha fondato una sua società di produzione Robin Lutz SV productions.