Goliarda Sapienza che scavalca generazioni. “L’arte della gioia” al Salone di Torino tra podcast e serie tv
Una giornata particolare al Salone del libro di Torino nel segno di Goliarda Sapienza. Attraverso il racconto di un’autrice di cinema, Monica Repetto, affascinata dalla scrittrice de “L’arte della gioia” della quale ci prone il nuovo podcast “Gagliarda Potenza. Vita e opere straordinarie di Goliarda Sapienza” (prodotto da Emons Record) e le molte confidenze di Valeria Golino nei panni di regista della nuova serie tv, ispirata all’omonimo “romanzo dello scandalo” che sarà presentata all’imminente festival di Cannes …
La “Vita immaginaria” che muove la vita creativa ha guidato questa XXXVI edizione del Salone del libro di Torino (dal 9 al 13 maggio). Le parole di Natalia Ginzburg hanno guidano la prima edizione curata da Annalena Benini, dopo l’era di Nicola Lagioia. Eppure più delle tracce dell’autrice di Lessico famigliare è la voce eccentrica e a lungo dimenticata di Goliarda Sapienza che mi ha affascinato in questa visita lampo torinese.
Nella sezione del salone dedicata al cinema, in un percorso fatto per incontrare chi il cinema lo fa, lo pensa, lo produce e lo scrive, ho seguito come un topo il flauto incantatore di Goliarda e sono salita sulla rampa del Lingotto, fabbrica Fiat dove le auto scendevano e salivano fino alla pista sul tetto. Su quel tetto, in un’esperienza magica sensoriale di sole e di vento leggero, Donatella Finocchiaro – voce dalla calata siciliana che Emons ha scelto per l’audiolibro di L’arte della gioia – ha interpretato alcuni passi dal romanzo-vita di Goliarda Sapienza. Opera maledetta che nessun editore ha voluto pubblicare, lei in vita, e che dalla Francia è poi ritornata a vedere luce in Italia decenni dopo la morte dell’autrice.
Oggi, nell’anno del centenario, Goliarda Sapienza è acclamata come una delle illustri letterate del Novecento. Donatella Finocchiaro offre la voce a Modesta, personaggio letterario selvatico, machiavellico, proletaria destinata a scalare le classi fino ai saloni aristocratici, senza mai smettere di sedurre uomini e donne di ogni tipo e capace di scombinare ogni regola del gioco pur di godere del vero piacere. Modesta è l’alter ego di Goliarda, ma è anche molto altro. Condensato di bugie e mimetismi della realtà.
È come se Goliarda Sapienza con la sua scrittura barocca e razionale rimbalzasse di risonanza in risonanza tra donne che la leggono, la ascoltano, vi si riconoscono e si ritraggono. Con la sua potenza gagliarda e con le sue fragilità nuvolose questa scrittrice mi fa l’effetto di Alba De Cespedes, dominatrice di quell’arte incredibile di scavalcare generazioni e venirti a cercare.
Immagino abbiano subito lo stesso richiamo di orrida sirena anche le giovani Giulia Morelli, Silvia Scognamiglio e Maria Lucia Schito, già autrici e voci di “Mis(S) conosciute – Scrittrici tra parentesi (autoproduzione)“, che hanno realizzato la nuova serie podcast dal titolo Gagliarda Potenza. Vita e opere straordinarie di Goliarda Sapienza (prodotto da Emons Record). Giulia Morelli racconta cosa le ha spinte a dedicare alla scrittrice catenese il podcast in otto puntate che esce ogni martedì su Audible: “Goliarda è una scrittrice nata 100 anni fa, è stata molto personaggia in una famiglia d’origine anarcosocialista. Fu attrice e cinematografara, come amava definirsi, gallerista e molto altro. Solo verso i 40 anni si concentra sulla scrittura. In vita pubblicò tre romanzi. Per l’ Arte della gioia impiegò dieci anni di scrittura e altri dieci per cercare un editore che non trovò. Il libro è stato pubblicato trenta anni dopo la morte di Goliarda. È rimasto tutto quel tempo nella cassapanca di casa sua. Questo libro Goliarda lo considerava il suo bambino, il figlio che non aveva avuto. I tempi probabilmente non erano maturi. Il romanzo uscì negli anni ‘90 in poche copie con Stampa Alternativa che lo portò a Francoforte al salone del Libro dove una editrice francese ne acquistò i diritti facendone un caso letterario. La traduttrice Nathalie Castagné l’abbiamo intervistata nel podcast. Solo dopo il successo francese nel 2005 l’Italia si è accorta di Goliarda ed Einaudi l’ha finalmente pubblicata nel 2008”.
Maria Lucia Schito aggiunge: “Da un po’ esiste un fenomeno Goliarda, ma adesso che c’è l’anniversario si moltiplicano le iniziative. Trasferirla in un podcast è stato difficile per la mole di opere che ha scritto. Non è passato tanto tempo dalla sua morte e ci sono in vita molte persone che l’hanno conosciuta. A livello accademico è molto studiata. Era una personaggia pittoresca ed esistono straordinarie interviste in cui lei con la sua viva voce racconta la sua vita. Ci abbiamo messo un paio di anni di studio, e poi è nato il podcast, impostato sotto forma di indagine letteraria”.
Perché proprio la forma dell’indagine letteraria? “Perché la sua scrittura è un continuo mélange tra verità e bugia – spiega Giulia Morelli – Un continuo movimento tra verità e menzogna. Ma qualcosa di diverso dall’autofiction. Abbiamo scelto la chiave interpretativa dell’indagine anche perché studiando documenti e persone abbiamo trovato informazioni diverse da quelle che aveva dato lei nella scrittura. Goliarda stessa è autrice di una indagine. Negli anni ‘90 va a cercare in vari archivi le informazioni sulla sua famiglia. I suoi genitori sono due personaggi storici Maria Giudice (socialista, sindacalista, attivista politica) e l’avvocato Peppino Sapienza. Voleva scrivere un romanzo sui suoi genitori dal titolo Amore sotto il fascismo. Ma la memoria gioca brutti scherzi. Goliarda vuole scrivere la storia di una bambina, Iuzza, fatta di ricordi o di bugie. Difficile è capire chi fossero i suoi fratelli e sorelle e anche i suoi genitori. Una puntata del podcast è dedicata a loro. Goliarda era una portata all’indagine di sé. Si è sottoposta a psicanalisi. Nella sua famiglia così numerosa lei era l’unica figlia della coppia Giudici/Sapienza, fratelli e sorelle erano nati da precedenti relazioni dei genitori. La madre le diceva che prima si dovevano sfamare i bisognosi, ma anche Goliarda aveva fame. In un bambino questa percezione della propria non unicità lascia il segno. E porta Goliarda a indagare su di sé. Il rapporto con i genitori è la base di tutti i traumi”.
Silvia Scognamiglio aggiunge: “Goliarda ha tentato il suicidio. E in seguito, per sciogliere i nodi e ricominciare a vivere si affidò alla psicanalisi. Infatti due puntate del podcast sono sulla vicenda psicanalitica di Goliarda. Ma infine lo strumento che l’aiuterà a guarire è la scrittura”.
Il rapporto di Goliarda Sapienza con la messa in scena cinematografica ma ancor più teatrale è intenso. Per questo si rivela un pozzo a cui le attrici e le sceneggiatrici amano abbeverarsi. Donatella Finocchiaro già aveva dato corpo e volto alla protagonista di Il filo di mezzogiorno (1969) nella pièce di Mario Martone, adesso è la voce che narra L’arte della gioia nell’audiolibro: “Questo viaggio nell’Arte della gioia è stato un bel viaggio. Una immersione nelle 400 pagine per cui entrare in studio e registrare è stato magico. Nel momento in cui si entra nel flusso della scrittura per un’attrice è entusiasmante infilarsi in venti personaggi diversi a cui dare la voce. È stato divertente fare tutte queste vocine, anche dare timbri ai maschi siciliani, a volte forti e a volte fragili”.
La domanda d’obbligo è quando sia avvenuto il primo incontro con l’opera: “Io lessi L’arte della gioia la prima volta nel 2011. Ero sul set di Martone, Capri-Revolution. Dissi a Ippolita di Majo di leggere il Filo di mezzogiorno (secondo romanzo di Sapienza pubblicato nel 1969, ndr.) da cui poi è nata nel 2021 l’opera teatrale omonima con Roberto De Francesco”. Mario Martone curò la regia dell’adattamento teatrale scritto dalla compagna Ippolita Di Majo: “Non riesco a sezionare l’arco di vita straordinario di questa artista – dice la sceneggiatrice – l’insieme di diversi talenti uniti in lei mi entusiasma. Per certo il primo amore di Goliarda è stato il cinema. Goliarda racconta che andava col padre al cinema Mirone. Il padre avvocato aveva un legame con una delle maschere del cinema perché gli aveva fatto un favore legale e dunque la figlia in seguito poteva andare in sala anche da sola, con la maschera a vegliare sulla sua incolumità. Passò lunghi pomeriggi lì. Affinando così il rapporto tra verità e finzione nelle arti. Impara a rapinare la vita degli altri e la propria al fine dell’arte che è proprio un lavoro tra la rapina e la messa in scena di sé protette con una maschera. Molto influisce su di lei avere lavorato con Citto Maselli nei suoi documentari. Inoltre i dialoghi di Goliarda sono splendidi e partono proprio dal suo essere stata attrice”.
Ippolita di Majo non è arrivata facilmente alla messa in scena teatrale di Il filo di mezzogiorno. “Leggo una prima volta il libro e mi dico: non lo so fare. Lo metto via. Lo rileggo e capisco che per entrare nel flusso analitico dovevo rileggere tutto quello che Goliarda aveva scritto prima e che qui ritornava con nomi e figure. Ero lì che ragionavo sulla struttura e Angelo Pellegrino (il marito di Goliarda Sapienza, ndr.) mi dice: d’altra parte è tutto là. E aveva ragione”. La coscienza della propria identità è per Goliarda Sapienza un percorso a ostacoli, fatto di lotte corpo a corpo con analisti, amanti, editori e mondanità romana, in una continua opera di scandaglio.
Quindi oltre alle celebrazioni di rito per il centenario, continuando a seguire il richiamo di Goliarda Sapienza, ecco che il SalTo 2024 offre l’incontro con un’altra donna selvatica, dalla voce roca, i capelli ricci e ribelli, Valeria Golino. Mi è sempre piaciuta molto questa attrice anomala, sino dalla sua prima apparizione proprio in un film di Citto Maselli, Storia d’amore, che vidi ventenne alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia con l’accredito culturale degli studenti universitari richiesti da Guido Aristarco.
Valeria Golino ha firmato la sua terza regia (dopo Miele, ispirato a A nome tuo di Mauro Covavich, Einaudi ed Euforia), proprio con la serie tratta da L’arte della Gioia di cui firma la sceneggiatura con Francesca Marciano, Valia Santella, Luca Infascelli e Stefano Sardo. “Sono molto contenta del risultato, è un lavoro di 5 anni, e riadatta solo la prima parte del libro che è diviso in 4 parti” – spiega – “Jasmine Trinca è qui in sala, ed è anche la protagonista di tutti i miei film, ne ho fatti solo tre – ride con ironica – così paio Sorrentino!”.
In sala ci sono anche Mario Martone e Ippolita Di Majo e Valeria approfitta per dire che il regista napoletano sta per girare un film su Goliarda Sapienza in cui sarà lei stessa a dare il volto a Goliarda: “Non so se è lei che perseguita noi o noi che perseguitiamo lei, ci siamo appassionati. Io Goliarda l’ho conosciuta a 18 anni, per due o tre mesi prima di iniziare a girare Storia d’amore con Citto Maselli. Loro erano stati sposati molto giovani. Si erano separati ma erano rimasti molto ‘famiglia’. Citto mi portò da Goliarda che all’epoca insegnava recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Mi portò per togliermi l’accento napoletano e forse per farmi dare una raddrizzata da Goliarda sul personaggio di Bruna che era la proletaria romana che dovevo interpretare. Io andavo tre volte a settimana da Goliarda a casa sua, ci andavo senza voglia, pigra e divertita. Lei era qualcosa, ma io troppo piccola per capire chi fosse davvero. Rimpiango di non avere approfondito l’amicizia. Era materna con me. Ma intravedevo in lei anche la possibilità di inalberarsi. Era sempre presente questo costante piccolo pericolo di dispiacerle. E così ho imparato a piacere. Ho letto L’Arte della gioia solo una decina d’anni dopo avere incontrato Goliarda. Ma con orgoglio, oggi, ricordo che lei ogni tanto mi dava un buffetto e diceva: tu sei la mia Modesta. Lei stava scrivendo l’Arte della Gioia in quel periodo. E giocava con l’idea che io fossi Modesta, un po’ selvatica, probabilmente così vedeva quella diciottenne che le girava per casa nell’85. Dunque ho letto il romanzo molto dopo. È un romanzo anfibiologico. Cambia il lettore e cambia il romanzo. Da un lato è il romanzo stesso che cambia, perché è strutturato e destrutturato al tempo stesso, è molto libero. La prima volta che l’ho letto mi è piaciuto ma ho capito solo le cose più superficiali. Lo rileggevo ogni volta che un regista voleva farne un film. Molti hanno voluto ma non ci sono riusciti. È un romanzo scabroso, intellettuale ed erotico. Dal punto di vista letterario è sorprendente. Ma se pensi a trasformalo in scena è difficile. Abbiamo cominciato a scriverlo come un film ma non riuscivamo a dare un senso più verticale. Una serie invece ha uno sviluppo più orizzontale e dunque decidemmo per la serie. Adesso, poiché conosco il romanzo molto meglio, sarei capace di farne un film”.
Come spesso accade i percorsi della vita sono tortuosi, ma il caso è sempre molto preciso. “Ho deciso di fare questa serie per un motivo prosaico – continua Valeria – perché la mia produttrice Viola Prestieri voleva fortissimamente questo libro. Si è mossa per averne i diritti, e anche per i diritti di Appuntamento a Positano. Si è rivolta a Angelo Pellegrino (marito di Goliarda Sapienza ndr) che ha tutti i diritti delle sue opere. Angelo ha detto: ti dò i diritti se Valeria è coinvolta in questo progetto. Allora io ho detto, va bene, prendiamoci i diritti. Poi mi sono riletta il libro e ho detto devo rischiare, devo farlo io. La gestazione è stata più lunga del previsto. La bestia continuava a buttarmi giù di sella. Poi c’è la trama quasi da feulletton, se l’affronti come faceva lei, era difficile trovare il tono. Ho pensato che forse facendo una serie, avendo più tempo e diluendo i significati, sarebbe stato possibile riuscire nell’impresa. Ed eccoci qua”.
Ma finalmente ecco il nodo cruciale che attrae e rimbalza di donna in donna, alle prese con l’arte, la letteratura, il cinema. Molte attrici hanno esordito alla regia. Valeria è stata una delle prime con un piccolo film, forte, originale. Chi se l’aspettava da Valeria, esclamò l’élite. E Golino risponde ironicamente: “È molto importante essere sottovalutate. In realtà sto citando una mia collega. Abbiamo fatto un panel tempo fa con Paola Cortellesi, Kasia Smutniak, Valeria Bruni Tedeschi. E Kasia disse: sono molto contenta quando sono sottovalutata così sono libera di sorprendere. Io ho sempre voluto fare la regista, anzi ho cominciato tardi rispetto al mio desiderio. Forse ero io a sottovalutarmi, a non osare perché donna. Il mio senso di inadeguatezza era più forte del mio desiderio. Ho avuto la grazia di non dovere faticare troppo ad arrivare al successo. Non doversi stancare troppo a fare le cose non è bello forse moralmente ma è bello da vivere! Negli anni poi ho faticato per scelta. Non puoi sempre affidarti all’impatto del tuo viso nel cinema. Ma ho sempre fotografato e filmato i miei amici. La mia amica Isabella Ferrari è stata la vittima preferita del mio cercare di essere regista. La seguivo anche quando si lavava i denti, la filmavo mentre piangeva col fidanzato, quando era brutta e cattiva. E poi anche con i miei fidanzati… insomma io ero regista. Ho cominciato ufficialmente a 45 anni. Sono stati gli altri a darmi coraggio. A Domenico Procacci devo molto. Ho avuto la fortuna di lavorare con super registi. Nel caso del mio primo film Scamarcio mi ha spinto. In particolare lavorare sulle opere letterarie è interessante per me. Il libro già c’è e ha un valore a sé stante. Chiunque lo vada a sgranocchiare non intacca l’integrità dell’opera, non c’è alcun rischio per il libro che continua a esistere e neppure per lo scrittore. Un libro non è cinema. Devi fare un’opera di sintesi che non crederesti. Intere pagine si trasformano in una scena che magari è di venti secondi. La libertà è quella. Nel caso di L’arte della Gioia ho fatto una serie tv che ha altre leggi ancora, non ha le stesse regole del cinema. Una serie ti chiede cose che nel libro non ci sono. Ho girato 100 giorni e montato per quasi un anno con Giogiò Franchini, il montatore è un coautore. Con lui, dopo tutto questo tempo, siamo una coppia di fatto. Abbiamo litigato come poche volte, sono riuscita anche a farlo piangere. Ma è un genio. C’è il momento che capisci che hai sbagliato tutto a filmare. Una volta gli ho detto che volevo fare una scena tutta al contrario invertendo l’inizio con la fine. Era la scena di una cena. Ho capito di notte che funzionava solo in quel modo. Immaginate la difficoltà, con i cibi la tavola apparecchiata. Lui mi ha detto, dammi un’ora e mezza e vediamo. Mentre lui l’ha ristrutturata al contrario io sono uscita a cena. Sono tornata e funzionava. Anche con le sceneggiatrici c’è incredibile affiatamento. Sui dialoghi stiamo molto insieme a lavorarci, li facciamo ad alta voce. Non potrei fare a meno di loro. Stefano Sardo è uno strutturalista. Noi prendiamo delle derive, come farfalle, ma se sei Sorrentino te le fanno fare. Agli altri un po’ meno. Comunque ogni tanto ce le ho messe queste derive. Ma come mi disse Marco Bellocchio: da una certa età in poi qualsiasi cosa affronti la puoi fare tua”.
Monica Repetto
Regista. Ha fondato con Pietro Balla la società di produzione deriva film. Ha realizzato cortometraggi e film documentari (Rai cinema, Fox Channels, Discovery). Tra le sue opere “Thyssenkrupp Blues” (2008); "Operai" (2008); "Falck. Ritratto di uomini e di fabbrica" (2010); "Il corpo dell'amore" (2019); “1974 1979. Le nostre ferite", finalista Nastri d’argento 2021.
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