“Green Border” contro la fortezza Europa. Agnieszka Holland dalla parte giusta arriva in sala

In sala dall’8 febbraio (per Movies Inspired) “Green Border”  della decana del cinema polacco, Agnieszka Holland. Un film folgorante, in bianco e nero, sulla barbarie dei respingimenti tra Bielorussia e Polonia. Che rivela le conseguenze della politica europea e, soprattutto, quelle della destra ultrareazionaria polacca sconfitta – per un soffio – nelle elezioni dello scorso autunno. Per il suo film la regista è stata bersaglio degli attacchi dell’ex governo, tanto da essere stata costretta a muoversi sotto scorta. Da qui l’idea-provocazione lanciata tempo fa da Marina Pertile che il Vaticano lo candidi all’Oscar. Premio speciale della giuria a Venezia 2023 …

Esiste una distanza tra una decisione e le sue conseguenze. Più è importante la decisione, più è grande la distanza. All’altro capo di questa catena però, dove si scatenano i risultati, è raro che ci siano coloro che hanno preso la decisione. Agnieszka Holland ha piazzato la sua macchina dove esplodono le conseguenze delle scelte della sedicente Europa civile. E il risultato, Green Border, Premio Speciale della giuria a Venezia 80, è un film prezioso e mozzafiato.

Raramente, nel corso degli anni, il silenzio commosso di una sala è stato così rumoroso. Mai, almeno finora, è successo in questa Mostra del Cinema. Ma mentre sullo schermo scorrevano i titoli di coda la sala del Lido era un tutt’uno di commozione e stordimento. A rompere il silenzio solo i sospiri a pieni polmoni.

Green Border investe lo spettatore, ha una carica radicata nella semplicità che lo rende incredibilmente efficace. Le immagini che mostra non ci sono nuove, anzi sono ormai un’amara abitudine, sono anni che immagini di persone ammassate nei modi più inumani e respinti con crudeltà affollano i nostri schermi.

Proprio per questo non era semplice riuscire a fare un film che sapesse difendersi dalla retorica, che non provasse solo a pulirsi la coscienza occidentale e che non scadesse nel già visto. Ma Holland è riuscita perfettamente, perché ha intuito che la tragedia dei confini non ha bisogno di guizzi per essere raccontata.

Il suo film è un trattato di equilibrio, di misuratezza. Nulla viene minimizzato, così come nulla viene estremizzato per una pornografia del dolore. Holland è consapevole che il punto in cui ha scelto di ambientare il suo film, la frontiera alberata che divide Polonia e Bielorussia, è una costellazione di angosce per chiunque sia costretto a popolarla. E decide di fornire una panoramica netta sulle conseguenze della politica europea.

Non ci sono solo le frotte di disperati, vessati dalle angherie delle guardie di confine pronti a usarli come proiettili umani di una guerra meschina e non dichiarata. Green Border coi suoi capitoli ci porta anche nella paura dei soldati, disorientati dalla propaganda militare che li vuole esecutori senz’anima di ordini talmente orribili che non vengono nemmeno emessi ufficialmente. Ma anche nelle azioni di chi prova a dare una mano come può. E nelle contraddizioni dell’opinione pubblica.

Sappiamo benissimo che film di questa lucidità sul momento storico hanno valore a qualsiasi latitudine. Ma ci riesce impossibile non pensare alla forza che il film di Holland ha ora, nel 2024, e qui, in Italia, che di quel governo polacco ultrareazionario appena buttato giù dalle elezioni d’autunno è stata fedele alleata. E tanto più averlo visto ad una Mostra del Cinema che ha scelto di aprirsi con la double face di un comandante fascista usato per reiterare l’insopportabile refrain degli italiani brava gente.

Le frontiere sono ovunque e quella verde che questo film esplora in maniera così potente differisce da quella mediterranea solo per il colore. O forse neanche per quello, dato che entrambe sono insozzate del sangue di innocenti, nati semplicemente col passaporto sbagliato.

Non esistono dubbi sul fatto che Green Border sarebbe dovuto essere il Leone d’oro, se vogliamo credere che il mondo culturale abbia ancora un minimo di coscienza. Ma ancora di più questa Venezia 80 avrebbe dimostrato di saper assolvere al dovere massimo di ogni istituzione culturale, ossia quella di sapersi mostrare attenta alla realtà in cui è immersa. Alla fine, invece, s’è dovuto accontentare del Premio Speciale della giuria. Che è già qualcosa.

Certo Holland con Green Border lancia un grido d’allarme e una sfida. Se c’è una cosa a cui servono le frontiere è stabilire una linea per cui esistono solo due lati. E perché esiste una parte giusta e una sbagliata. Si tratta solo di scegliere, consapevoli che l’ignavia è connivenza.