Guarda c’è pure Pollicino nella fiaba Dior. Garrone grande autore (anche) alla prova dello spot


Quale è l’importanza di rinvenire le tracce nel cinema e le briciole disseminate per giungere al nuovo corpo, al nuovo corto in questo caso? Quali gli espedienti lasciati in evidenza affinché si possa rintracciare la via?
A quale percorso, a quale salvazione, a quale corpo ci conduce l’arte e anche la moda, quando tanto essa si approssima all’arte da potere essere definita a volte, senza infingimenti, arte anch’essa?

A questo ho pensato, vedendo Le Mythe Dior, il recente corto girato da Matteo Garrone per la casa di moda Dior e che si può vedere sul canale youtube della stessa. E ho anche ripensato alla fiaba di Pollicino e alla sua prima trasposizione al cinema nel 1905: Le Petit Poucet, tratto dal racconto di Charles Perrault, Pathé.

Film anch’esso, giocoforza corto, ma ricco di bellezza, che culmina nell’agio e nell’oro del finale, cui Pollicino conduce la sua intera famiglia. Oro sì, perché il film era splendidamente colorato, a pochoir, col sistema di colorazione adottato e disponibile all’epoca.

Il corto di Garrone raccoglie magnificamente suggestioni di tanta arte e di tanti campi, per confezionare il suo film breve che, pur nel suo intento e scopo pubblicitario, da esso si affranca per la maestria e bravura consolidata del regista e ci consegna un corto davvero molto bello.

Ambientato in un giardino incantato, percorso da impronte diverse, in un luogo in cui le acque dove le ninfe si bagnano hanno il potere di evocare miti, Narcisi lontani e sempre incombenti, perdizioni e salvazioni, dovute tutte esse al fascino, alle onde, ai percorsi e alla memoria. E di evocare dipinti e statue famose di varie epoche passate.

Perfino gli alberi hanno la loro vivezza, come dovette essere per Pollicino e i suoi fratelli, dove, nel corto di Garrone, i due amanti indugiano alla sensualità.

D’altronde il corto racconta tutto un cammino, che s’origina dalla maison Dior e dal lavoro delle sarte (ho sempre amato la parola sarta, che si ricollega alla parola sartor che significa restaurare), mette in cammino due portatori di una grande scatola-portantina dei modelli degli abiti della nuova collezione disegnata dalla stilista italiana Maria Grazia Chiuri e giunge ad attirare la bramosia delle ninfe che vi si accostano e che infine indosseranno quegli abiti d’incanto, prossimi ad esse già nell’ideazione e creazione.

E, dunque, il percorso è compiuto, echi di tante arti (allo spettatore rinvenire i rimandi!), le briciole disseminate hanno ancora una volta condotto al lieto fine, che è quello di fare, in questo caso, dell’ottimo cinema. E di restaurare.