Guarda e compra. L’irresistibile doc svedese sulla storia dell’uomo fabbricante di immagini

And the king said, what a fantastic machine“, Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck approda alla Festa del Cinema di Roma. Una panoramica magistrale e spietata sulla storia dell’uomo fabbricante di immagini, dai Lumière fino ai trend più desolanti di TikTok. Un film nato da una strepitosa ricerca d’archivio e messo in piedi con una fenomenale ironia corrosiva. Prodotto, tra gli altri, da Ruben Östlund …

C’è una piccola gemma (dire nascosta forse sarebbe esagerato) nella selezione della Festa del Cinema di Roma. È il documentario And the king said, what a fantastic machine – per chi non mastica l’inglese: “e il re disse, che macchina fantastica” – degli svedesi Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck.

Dicevamo che nascosta è un parolone, piccolo trucco da cinefili festivalieri: buttare sempre un occhio ai produttori, sono sempre un indizio di quel che si vedrà. Qui, tra i vari nomi, spunta il due volte Palma d’oro Ruben Östlund e non è un caso.

Nel documentario c’è molto della sua ironia corrosiva che non fa sconti al presente. Ma ai nostri giorni si arriva con calma, perché il lavoro dei due registi è fare una bella panoramica della storia della macchina da presa e dei suoi usi. Sarebbe quella, la fantastic machine, secondo le parole di Enrico VII.

Si parte dagli inizi, dalla camera obscura e dai Lumière, passando per la propaganda nazista di Leni Riefenstahl. Non è l’oggetto in sé che interessa ai registi, ma l’uso che se n’è fatto, la più incredibile delle possibilità che ha permesso di avere: quella di vedersi in uno specchio fissato nel tempo. Non a caso recuperano anche il video di un antropologo che scatta foto a una popolazione della Papua Nuova Guinea, chiaramente del tutto inconsapevole di cosa sia una macchina fotografica, e poi mostra loro i risultati. Vederli lentamente prendere coscienza che quelli rappresentati sono loro è straordinario.

Il grande cambiamento, fanno giustamente notare le voci fuori campo degli autori, è la televisione. La annuncia il presidente irlandese Éamon de Valera, che nel messaggio alla nazione per l’inaugurazione delle trasmissioni televisive non nasconde un certo timore: «È come l’energia atomica, può fare bene incalcolabile e danni irreparabili».

La tv cambia l’approccio, fa entrare definitivamente il capitale nelle immagini, non più solo nella loro produzione. L’annuncio è affidato a un italiano, Carlo Freccero, guru delle reti Mediaset, poi approdato alla Rai che candidamente spiega alla televisione francese il vero cuore delle immagini televisive: gli inserzionisti.

Così, i mostri che già esistevano prima si fanno più grossi. Muore ogni parvenza di pensiero, le immagini «preparano il cervello dello spettatore alla pubblicità», parola di televisione giapponese. Nemmeno le informazioni si salvano più, dev’essere tutto intrattenimento, anche le sparatorie, come non manca di far notare un opinionista alla CNN (fondata, secondo le dichiarazioni del suo patron Ted Turner, perché gli altri avevano preso a copiargli le soap).

Ed ecco la pietra tombale: internet e i big data. Nasce YouTube e la produzione centrifuga di immagini diventa inarrestabile, cresce esponenzialmente. Mentre Netflix scopre il segreto per diventare milionaria, solleticare il gusto verso il mediocre: «Se chiedi di fare una classifica tutti mettono grandi film al primo posto, ma noi vendevamo di più quelli meno impegnati», spiega il fondatore.

La forza in più di And the king è, oltre al grandissimo lavoro di archivio, il montaggio. Gli accostamenti sono puntuali, sono i tagli a rendere corposo lo humour corrosivo di questo lavoro. Ma soprattutto non sono fini a se stessi, si collocano sempre in un’ottica di rafforzamento della tesi generale.

Alla Festa il doc è arrivato nella sezione Freestyle, ma il pedigree non è da poco: première alla Berlinale, premio al miglior doc al Sundance. I due registi lavorano in coppia da qualche anno, ma finora avevano fatto solamente corti. Uno di questi, forse il più noto, metteva su un esperimento sociale, far scalare ad alcune persone una torre di dieci metri e poi chiedere, una volta in cima, se volessero buttarsi o tornare giù. Solo per dare un’infarinatura dello sguardo originale di questa coppia.

Con le torri hanno una certa passione, tra le immagini più impressionanti di And the machine è impossibile non mettere quella di due ragazzi che scalano un grattacielo enorme solo per poter posare in bilico sul vuoto. Ma su questo andazzo ce ne sono molte, da quelli a due passi da uno strapiombo al pilota che si distrae alla guida del suo caccia e per fare un video fa cadere il telefono da chissà quanti metri.

Momenti di grande divertimento non mancano, infatti. I due registi recuperano la celebre ospitata televisiva di Guy Goma alla BBC: chiamato per un colloquio viene mandato in onda scambiandolo per un esperto di mercato musicale, lui prova in tutti i modi a non far capire l’errore.

La stoccata definitiva Danielson e Van Aertryck ce la danno nel finale (seppure già in molti momenti del doc viene da tifare per l’estinzione del genere umano). Secondo i dati ogni minuto vengono prodotte oltre 500 ore di video. È un’ecatombe, almeno 499 non servono a un bel nulla. Vien quasi da chiedersi se serva ancora a qualcosa far cinema, se forse non è più rivoluzionario spegnere tutto.

Poi però ci si ricorda che anche And the king said, what a fantastic machine è cinema. E ci si riappaccifica con tutto. Perché, alla fine di tutto, conta sempre come la usi, questa macchina insieme fantastica e atroce.