Horror italiano amore mio

È quasi un dizionario, un ricchissimo “catalogo” per orientarsi nella particolare galassia dei film dell’orrore italiani, quelli minuscoli e mal distribuiti. È il libro Italia Horror Underground, di Giulio Muratore che compie un gesto d’amore verso il genere, ma tralsciando l’analisi critica degli stessi film…

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Giulio Muratore col suo Italia Horror Underground compie un gesto d’amore: rende all’horror ciò che è suo. Vale a dire la dignità di essere genere.

L’orrore che pure vanta una filmografia di tutto rispetto con molti picchi d’eccellenza, si pensi a Argento, Bava, Avati, Soavi, è stato progressivamente accantonato tanto dalle produzioni quanto dai media. Questa azione di disturbo e annientamento si deve in parte a orientamenti politico culturali ostili al cinema di genere, ritenuto colpevolmente disimpegnato e privo di contenuti, in parte a causa di una messe di opere discutibili che rafforzandone i preconcetti, certamente non hanno fatto bene alla sua longevità.

Partendo dalla “rivendicazione”, l’autore sviluppa un ragionamento che, se lodevole nelle intenzioni, tende a perdersi nelle argomentazioni a sostegno.  Quello che paradossalmente non emerge dall’analisi – tutta tesa a chiarire le logiche che oggettivamente ne hanno in larga misura designato il tramonto – è un’ analisi critica degli stessi film.

Le opere in questione vengono trattate come parte di un movimento, e seguendo questo processo vengono considerate tutte valide. Quasi che la componente “affettiva” prevalga sulla critica: tutti i film sono buoni, e laddove non lo siano, ciò attiene più alle ristrettezze di investimenti che non all’opera in se stessa.

L’autore non si domanda se forse sia anche nella debolezza delle opere  la loro scarsa penetrazione nei circuiti che in più di uno dei titoli proposti diviene pressoché nulla. Opere che del resto, come egli stesso ammette, sono nella stragrande maggioranza dei casi debitrici di plot e sequenze che già appartengono all’immaginario di genere. L’autore si fa promotore di una diversa visuale, laddove introduce il sempre utile termine di “underground”.

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Tuttavia spostare il tiro da “horror” a “underground” non modifica i termini, giacché gli incassi irrisori di ogni singola opera non costituiscono una base per parlare di movimento. Non si è underground perché si ha un consenso circoscritto, ma perché si è esterni alle logiche delle major.

A rendere l’analisi ancor più parziale contribuisce la celebrazione di titoli che avendo avuto un dignitoso riconoscimento, vengono eletti ad alfieri della rinascita del genere. La prefazione, che sposa in modo totale il volume – e ci mancherebbe – fa sapere che “l’horror italiano è più vivo che mai” e che conta “tanti giovani che all’estero hanno successo”.

Purtroppo queste ottimistiche dichiarazioni si scontrano con una realtà che non potrebbe essere più distante. Titoli come Il bosco fuori di Gabriele Albanesi – le cui uscite in sala si contano sulle dita di una mano – , o i film dei Manetti Bros e Federico Zampaglione, seppure lodevoli, sono numericamente esigui e così diluiti negli anni da non potersi considerare l’espressione di una ripresa del genere.

Meglio sarebbe stato, forse, impostare il volume nei termini di una individuazione di quei film che sono riusciti a ricavarsi un po’ di spazio. L’aspettativa di individuare un movimento è perdente in partenza.

Circa la latitanza dell’orrore, l’autore offre un’analisi anacronistica quando tratta l’alveo rassicurante della televisione, a meno che non ci si riferisca alla sola televisione italiana, poco incline al disturbante e al perturbante. Quella di una tv “rassicurante” è una tesi che poteva valere nei decenni passati, ma da CSI in poi lo scenario è mutato radicalmente.

Come le varie serie Hannibal e Grimm mostrano in senso letterale e figurato, l’orrore specie quello più formale, trova ampia trattazione sul piccolo schermo. Persino la Rai, che ha già sdoganato serie a tinte forti come NCSI – Rai2 – , ha un canale d’elezione – Rai4 – dove il genere ha piena cittadinanza, come dimostra Dal tramonto all’alba.

Riconosciamo all’autore l’ afflato da denuncia che pur andando a segno, però, tende a svicolare dall’affondo decisivo: parlare di “critica ostile” e di registi che cercano la certificazione “d’autore” non centra completamente la questione. La stessa distinzione tra cinema mainstream e di genere è didascalica: un film può essere contemporaneamente entrambe le cose.

Italia Horror Underground si rivela, invece, essere testo molto approfondito quando esamina i meccanismi di finanziamento, quasi un manuale a dimostrazione della perizia con cui Muratore ha svolto le sue indagini su cui costruisce l’impalcatura del suo testo.

In ultima analisi, seppure il libro non si attesta come un saggio di pura critica, è certamente un grande omaggio all’horror italiano, nonché un dizionario particolareggiato e stracolmo di utili informazioni per orientarsi nella galassia di film minuscoli e mal distribuiti la cui reperibilità è impresa degna di Ash Williams.