“I giganti” fragili di Bonifacio Angius. Vite sprecate da Locarno alla sala

Arriva in sala dal 21 ottobre (per Il monello film) “I giganti” di Bonifacio Angius. Un dramma da camera in un lockdown emotivo sulle rovine esistenziali di cinque amici. Un mondo senza donne, anzi dove la loro assenza è un assedio per dirla con Piero Ciampi. Grandi prove d’attore, tutti sardi. Per un film che non vuole essere “local”, né accattivante. L’unico italiano in concorso a Locarno 74 …

Una vecchia casa di famiglia dove tutto, dai muri, agli arredi e alle suppellettili, è cadaverizzato in un afoso e permanente passato, ospita la rimpatriata tra amici di una vita.
Quella che ben presto assumerà le forme di un inesorabile e crudele dramma da camera parla di cinque amici, cinque devastazioni: dalle più dichiarate e fin da subito irrimediabilmente palesi a quelle taciute e combattute.

Tuttavia, la situazione claustrofobica messa in scena dal film di Bonifacio Angius non lascia scampo costringendo il gruppo a fare i conti con sé stessi e con gli altri. Gli altri sono i presenti ma anche il mondo esterno col quale tocca aver a che fare, fuori da quelle mura dove si cerca una temporanea astensione dalla vita. Due giorni di isolamento dove non c’è mai un fuori e quando c’è è separato da un’inferriata alla finestra da cui urlare rabbiosi insulti. Tutto per acuire un dentro vs un fuori, la ricerca di un isolamento con l’ausilio di ogni possibile sostanza. Droghe e alcol per stordire i propri fantasmi interiori, ad ognuno i suoi e ognuno per i suoi motivi: il catatonico rivangare un amore spezzato anni e anni prima, un matrimonio fallito con feroci rancori e desideri di vendetta, una carriera da politico opportunista e così via.

Questa, per sommi capi la vicenda narrata da I giganti di Bonifacio Angius, autore, attore, produttore sardo (classe 1982) rivelatosi appena trentenne con un doloroso ritratto padre-figlio, Perfidia, che ha fatto incetta di premi (anche a Locarno) e qui alla sua quarta regia e unico film italiano in concorso alla 74esima edizione del Locarno Film Festival, sotto la nuova direzione di Giona A. Nazzaro.

Non manca nulla a questa antologia della disperazione, c’è tutto il catalogo delle cause e degli effetti dell’angoscia umana: rabbia, dolore, nostalgia e tenerezza. Ma anche fragilità, furore, ironia, cinismo e violenza. Una violenza prima di tutto autodistruttiva per quei perdenti che tentano l’impossibile: rivivere per un attimo la leggerezza e la spensieratezza dell’adolescenza.

Impossibile come veder passare una cometa in quella notte sarda o frustrante come la caduta di una stella senza aver avuto il tempo o la forza di sperare in qualcosa. “Infelicità senza desideri” è una didascalia che si potrebbe rubare ad un libro di Peter Handke. Non mancano nemmeno i personaggi femminili in questo film unicamente al maschile. Anzi, ne sono una componente centrale perché, come diceva Piero Ciampi: “La tua assenza è un assedio”: tutto in questa disperazione parla dalla sua mancanza.

“Mi piace definire questo racconto come fosse un’opera filosofica scritta da un cialtrone, che nell’imbarazzo, nella vigliaccheria di un auto-sabotaggio, inconsapevolmente, è riuscito a parlare dei massimi sistemi senza che gli venisse richiesto” dice il regista introducendo il film.

Bonifacio Angius realizza quest’opera caricandosi sulle spalle la quasi totalità del lavoro. È uno degli interpreti, firma la sceneggiatura (insieme a Stefano Deffenu), il montaggio, la fotografia e la produzione con Il Monello film e il sostegno della Fondazione Sardegna Film Commision. Ha scritto persino le parole delle canzoni della colonna sonora, dolenti rancheras musicate da Luca Frasetto.

Di grande spessore tutti gli interpreti e tutti sardi: Stefano Deffenu (già volto di Perfidia), Riccardo Bombagi (che vedremo anche in Ariaferma di Leonardo Di Costanzo), Stefano e Michele Manca, qui in ruoli drammatici e non comici come si è abituati a vederli sui palchi del cabaret nelle vesti di Pino e gli Anticorpi.

È un film importante I giganti, dove la trama, apparentemente assente, è proprio da trovarsi nella claustrofobica e rinunciataria ricerca di una via d’uscita per le vite dei protagonisti. Altro che “i giganti” del titolo, riferiti alle misteriose statue megalitiche di Mont’e Prana, diventate uno dei simboli dell’identità sarda. Qui siamo di fronte ad un gruppo di vinti che non si pone domande, né tantomeno cerca risposte. E neanche una via d’uscita da una morte interiore, prima ancora che materiale, che quella casa che sa di vecchio e stantio coi suoi rubinetti ossidati, le foto degli avi e quei mobili polverosi, stende come un velo.