Se “L’Arminuta” del film è in salsa dickensiana. Arriva in sala dopo la Festa

Arriva in sala dal 21 ottobre (per Lucky Red) “L’Arminuta” di Giuseppe Bonito dall’omonimo fortunato romanzo di Donatella Di Pietrantonio. Deludente trasposizione senza sfumature, con personaggi (soprattutto le madri) monocorde. Si salvano giusto le due giovani interpreti. Presentato alla Festa di Roma 2021 …

Che dire, oltre a quello che ho scritto sul libro di Donatella Di Pietrantonio e sul progetto di Giuseppe Bonito di farne un film?

Che nonostante la bravura delle due giovani interpreti, perfettamente a loro agio nei loro ruoli, la sua Arminuta non è all’altezza del romanzo.

La tredicenne (Sofia Fiore) riconsegnata all’improvviso, e senza il minimo preavviso, come un pacco, alla famiglia contadina, numerosa e indigente (che scopre averla generata e poi ceduta a sei mesi a quella che credeva fosse la sua vera madre amorosa), con la sua chioma fulva, lunga e copiosa sembra una madonnina del 500 del senese Beccafumi.

Abituata a ben più morbidi rapporti e ad una vita di educata borghesia anni Sessanta in una piccola città di mare, coi suoi occhioni esterrefatti si guarda intorno allibita senza riuscire a capire inizialmente la vera ragione di questa restituzione.

“Perché m’ate portato qui?” avrebbe chiesto se fosse stata romana.
Unica ombra di luce, nel suo impatto con questa rude, anaffettiva e ombrosa parentela, la “ritornata” riuscirà a trovarla nella scafata, intelligente e accudente sorellina minore (Carlotta De Leonardis) ben felice di ritrovarsi una sorella più grande educata e ben vestita.

Luce la troverà nella scuola del paese che le offrirà, con la letteratura, una via di scampo, una strada di emancipazione.

Luce ed ombra le verrà invece dall’incontro coi primi, anche questi inattesi, approcci a inediti impulsi sessuali, suscitati dal fratello diciottenne che per fortuna finisce all’altro mondo prima di combinare altri guai.

Il paesaggio, bellissimo, è desolato, il paesino montano vicino al loro sgangherato casolare, quasi disabitato.
Le madri: quella vera (Vanessa Scalera) e l’adottiva (Elena Lietti), di una dolenza, per entrambe, monocorde.

E così i maschi: i mariti. Seppur in piccoli ruoli. Del tutto esenti da riuscite sfumature psicologiche.
Insomma reggono il tutto soprattutto i bambini. Compresi i due piccolissimi che piangono a comando in questa storia dickensiana di ragazzina “ritornata”.