Dietro le quinte di un quadro manifesto e del suo pittore. Pellizza da Volpedo è doc e arriva in sala

Nelle sale il 4 e 5 febbraio (per Nexo Digital) “Pellizza – Pittore da Volpedo” di Francesco Fei, dedicato alla vita e all’opera del celebre artista piemontese autore de “Il quarto stato”. Attraverso i suoi stessi scritti e la voce – e volto – narrante di Fabrizio Bentivoglio, oltre che le testimonianze degli esperti, il doc ricostruisce gli alti e bassi del pittore e dell’uomo che finì per togliersi la vita a soli 39 anni. Mentre si attende la grande mostra a lui dedicata al GAM di Milano dal 26 settembre 2025 al 25 gennaio 2026 …

Gli ideali socialisti, la lotta dei lavoratori, il simbolo della rivoluzione popolare, tutto questo rappresentato da un quadro, un’opera immensa capace di raccogliere in un’immagine il cammino dei cambiamenti sociali del ‘900, questo è Il quarto stato, con la sua folla di lavoratori uomini e donne, giovani e anziani che avanzano con sicurezza, orgoglio con lo sguardo diretto allo spettatore, un’immagine iconica, non per niente assunta da Bernardo Bertolucci come fondale per i titoli di testa del suo colossal Novecento.

Ebbene se la sua fama ormai è universale, molto meno conosciuto è il suo autore: il pittore piemontese Giuseppe Pellizza, nato a Volpedo, in provincia di Alessandria nel 1868. Un uomo bellissimo, alto elegante, barba da hipster che ci guarda dalle foto color seppia, una figura antica e modernissima insieme. Un grande artista da una vita densa di esperienze, purtroppo breve e drammatica che oggi viene raccontata e bene illustrata nel film di Francesco Fei in uscita nelle sale solo il 4 e 5 febbraio, una produzione Apnea Film con la partecipazione di METS Percorsi d’Arte, primo evento del 2025 del progetto “Grande arte al cinema” promosso da Nexos Studios.

E allora conosciamo meglio Giuseppe Pellizza che proprio per sottolineare il suo attaccamento alla terra di origine dal 1892 comincerà a firmare le sue tele aggiungendo “da Volpedo”. Nato in una famiglia di piccoli proprietari terrieri, legati alla produzione agricola, ebbe comunque il sostegno dei genitori all’ambizione di dedicarsi all’arte: frequenta l’accademia di Brera, viaggia e studia a Roma e a Firenze, dove si distingue come allievo di Giovanni Fattori e conosce la pittura di “macchia”, e qui tra gli intellettuali che animano i caffè toscani completa la sua formazione politica da garibaldino ad anarchico socialista.

Raffinato disegnatore, autore di ritratti eccezionali dei suoi parenti, di conoscenti, e persone semplici che assumono valore simbolico. Scrive, scrive tanto Giuseppe Pellizza, lettere e appunti che nel film vengono interpretate da Fabrizio Bentivoglio, le sue parole illustrano la crescita della sua coscienza d’artista: ”Ogni età ha un’arte speciale. L’artista deve studiare la società in cui vive e capire l’arte che gli è data”.

La sua diventa un ‘arte sociale… il passaggio alla tecnica del divisionismo si arricchisce di valori simbolici: si intitola lo specchio della vita il paesaggio della riva del torrente Curone attraversato da un gregge di pecore, un controluce suggestivo, dove la pittura di un evento naturale diventa il mezzo per esprimere un messaggio: “ciò che fa la prima le altre fanno” un verso dantesco che avrebbe dovuto essere il primo titolo dell’opera, quelle pecore sono gli uomini, siamo noi.

“Sento che ora non è più il tempo di fare dell’Arte per l’Arte, ma dell’Arte per l’umanità”, come scriveva nel 1895 e già stava pensando e preparando Il quarto stato, anticipato da Il cammino dei lavoratori e Fiumana, oggi alla Pinacoteca di Brera.
È questa coscienza sociale che fa di Pellizza un unico nella nostra storia dell’arte dell’800. La natura e il lavoro, l’umanità e il messaggio della pittura destinata a diventare un manifesto per la giustizia sociale. Non per niente un’altra delle opere di Pellizza che veramente meriterebbe un’ attenzione maggiore è Il sole, capolavoro del divisionismo, un’alba dietro un orizzonte scuro, una luce purissima abbagliante…il vero “sol dell’avvenire”.

Commovente la visione del suo studio, che sembra lasciato il giorno prima dal pittore, cavalletto, disegni, la tavolozza…e le foto, tante foto …di lui stesso, della sua famiglia, conoscenti, popolani…le stesse figure che lui inserirà nel capolavoro, immensa tela di quasi 6 metri per 3…per il quale fece posare i suoi stessi concittadini, pagandoli 3 lire al giorno, fornendo loro addirittura gli abiti.

Uomini e donne dei quali si conoscono nomi mestieri storie. In primo piano con la giacca sulle spalle il farmacista Giovanni Gatti, corporatura imponente, ma il volto è quello di un muratore, Giovanni Zarri, alla sua destra la donna con il bimbo in braccio è Teresa Bidone la moglie dell’artista, sua sorella e il marito all’estrema destra. Nel quadro del 1901 tutte le età dell’uomo, tutti sono composti, seri, avanzano sicuri “sanno che vinceranno”.

Nel film il racconto delle opere si mescola ad un’attualità non tanto diversa…le strade, le campagne di Volpedo oggi nel film fanno da scenario a un simil Pellizza somigliante a Jovanotti protagonista di sequenze in un bianco e nero da super 8, questa forse unica nota stonata di un doc nel complesso ben fatto e con importanti testimonianze di studiosi ed esperti tra i quali Aurora Scotti massima conoscitrice di Pellizza.

L’emozione più grande, il racconto del dolore che ha travolto un uomo cosi affascinante: già avvilito dallo scarso successo della sua opera monumentale (pensate che fu acquistato solo nel 1921 dai cittadini di Milano con un colletta che oggi si chiamerebbe un crowdfunding), la morte del padre che segnò l’inizio di una crisi delle attività di famiglia. E poi la tragedia: la morte dell’amatissima moglie nel dare alla luce il loro terzo figlio, un maschietto, che visse solo 12 giorni. Troppo per chiunque, e troppo per una persona già depressa. Così nella notte del 14 giugno del 1907, si uccise impiccandosi nel suo studio. Aveva solo 39 anni.

Anche Quarto stato ebbe decenni di sorte avversa: finito nei magazzini durante il fascismo, riemergerà solo alla metà degli anni 50, quando venne collocato nella sala della Giunta di Palazzo Marino, il Municipio di Milano: fu allora che finalmente venne apprezzato come “il monumento più alto che il movimento operaio abbia mai potuto vantare in Italia“( cit. Corrado Maltese). Dopo varie peregrinazioni dal luglio 2022 è tornato alla Galleria d’arte Moderna di Milano dove è meta di pellegrinaggio, vera e propria icona del ‘900, che diventerà protagonista della grande monografica dedicata proprio a Pellizza da Volpedo annunciata dal 26 settembre 2025 al 25 gennaio 2026.